Nella giornata della Pasqua, auguri a tutti, anche alla segretaria del Pd Elly Schlein, che dopo due mesi ha partorito infine la nuova segreteria. Un commento a caldo di un dirigente: “Che coraggio, ha inserito anche qualcuno del Pd”.
In massima parte i nuovi dirigenti provengono infatti da Articolo 1, da Sel, da Rifondazione comunista, dai movimenti radicali di estrema sinistra. E, un particolare non di poco conto, responsabile dell’ambiente è un esponente laziale che si é espresso contro il termovalorizzatore di Roma, che il sindaco Gualtieri ritiene essenziale e che é stata ragione della divisione tra Pd e Cinque stelle alle recenti elezioni regionali.
Sono infuriati gli esponenti di Base riformista e in generale quelli che hanno votato Bonaccini. Anche l’area Cuperlo protesta. Insomma la Schlein ha fatto quel che aveva promesso. Una sterzata a sinistra ha bisogno di dirigenti di estrema sinistra, e anche di quel Ruotolo, il barbuto giornalista di piazza di Santoro, per esempio.
La verità é che la Schlein sta costruendo un partito che non ha nulla a che vedere con quello del Lingotto di veltroniana memoria che, pure sconfitto dall’armata berlusconiana nel 2008, raggranellò oltre il 30%, e men che meno con quello di Renzi che, con le europee del 2014, riuscì addirittura a superare il 40%, cifra mai raggiunta da alcun partito di sinistra.
Ma nemmeno con quello immaginato da Bonaccini (nella giunta regionale dell’Emilia-Romagna sono presenti anche i renziani), aperto al dialogo e all’unità col centro. Il partito della Schlein pare assomigliare sempre più al partito di Corbyn che, nel Regno Unito, ottenne la più esaltante delle sconfitte elettorali del Labour.
Ora, mi pare evidente che la segreteria Schlein apra uno spazio per i riformisti. Bisognerebbe che lo capissero innanzitutto Renzi e Calenda, che la smettessero di punzecchiarsi a vicenda, che lanciassero un percorso costituente con convinzione ed entusiasmo, e che lo comprendessero bene i riformisti del Pd perché dubito che il nuovo partito della Schlein assegnerà loro altra funzione che quella dei meri testimoni.
Ma anche nell’area socialista si dovrebbero alzare le orecchie e avvertire il nuovo vento della politica. Si ha la sensazione che l’attuale gruppo dirigente del Psi si atteggi verso il Pd come l’Italia medioevale si atteggiava ai nuovi occupanti: “Vegna Franza, vegna Spagna, purché se magna”.
A parte il fatto che, come insegnano le ultime elezioni, il piatto langue, mi chiedo: un socialista che ha vissuto i fasti degli anni ottanta potrà mai avere come riferimento un soggetto che premia Samarcanda e chi contesta i termovalorizzatori, e occhieggia al pentastellato in prestito Conte, magari col megafono di Boccia e Franceschini?
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Direttore. Nasce a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un’intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 é assessore allo sport e poi all’ambiente nel comune di Reggio. Dal 2013 al 2022 dirige l’Avanti online.
4 commenti
Mettendo insieme questo Editoriale col precedente, ossia “Il Riformista e i riformisti”, par di capire, salvo miei fraintendimenti, che il Direttore punti ad orientare l’attuale PSI verso la sponda del Terzo Polo, consigliando nel contempo di abbandonare quella sorta di “autodistruttivo e narcisistico culto del partito” in cui i socialisti si sono rifugiati, mancando o trascurando “le due possibilità di concorrere a costruire il nostro erede”.
Può veder giusto il Direttore quando segnala una certa qual dose di narcisismo, ma io credo che la principale causa della mancata “procreazione” del PSI, visto che, come lui aveva scritto, “non ha generato nulla o quasi nulla”, anche attraverso gli “apparentamenti”, stia nella sostanziale diffidenza delle altre forze politiche a legarsi ad un partito segnato pesantemente – ancorché immeritatamente – dagli anni di Tangentopoli.
Ho cioè l’impressione che i socialisti siano per così dire destinati alla “solitudine”, a meno di portare solo i voti “occultando” il proprio nome, il che mi sembrerebbe un prezzo troppo alto, e pure il “punzecchiarsi a vicenda” tra i due padri del Terzo Polo, come dice il Direttore, lascerebbe intendere che anche lì non mancano i problemi (c’è chi pensa che l’uno guardi più a sinistra e l’altro meno, riproponendo il dualismo di casa socialista).
Se regge detta tesi del dualismo, nell’adesione al Terzo Polo i socialisti si troverebbero a dover ripetere una scelta per loro non nuova, riguardo allo stare o meno a sinistra, e come starvi, qui peraltro con poco o nullo peso decisionale, ed è per questa ragione che io guarderei al Presidenzialismo, del resto già affiorato nell’idea della Grande Riforma degli anni Ottanta (il Terzo Polo potrebbe essere una tappa intermedia verso tale approdo).
Il sistema presidenziale, se inteso col meccanismo del candidato sostenuto da partiti singoli o in coalizione, ciascuno col proprio simbolo, permette di presentarsi anche alle forze “minori”, consentendo altresì una bassa soglia di sbarramento, dal momento che la governabilità è assicurata, e cade inoltre la pregiudiziale del voto utile se i voti vengono suddivisi dentro alla coalizione nella eventualità che la soglia non venisse superata.
A loro volta i socialisti, al cui interno la collocazione nella geografia politica italica è stata non di rado motivo di disaccordo, talora parecchio sofferto ma pur tuttavia inevitabile, potrebbero anche dividersi nell’appoggiare l’uno o altro candidato, quale rispettiva espressione del predetto dualismo, ma oltre ai numeri, comunque utili ancorché fossero di non elevata entità, porterebbero con sé un buon patrimonio di idee e di cultura politica.
Paolo Bolognesi 10.04.2023
Ottimo articolo, caro Mauro! A Bologna i seguaci di Schlein governano da oltre due anni e gli iscritti al PD sono irrilevanti. Massimalismo quasi talebano.
È inutile parlare di apparentamenti…
Quando non ci si distingue per un proprio programma…
E proprie idee ben chiare…
Servirebbe anche un leader od una
Leader…
E li vedo più tra i giovani…
Vedi Pisani…
Che non i vari Maraio etc…
Se volete qualcosa di concreto…
Vedere Ostuni in Puglia…
Dove il 15 maggio si terranno le elezioni…
Il centro sinistra si è unito…
Compresi i 5S..
Con il PSI che è forza trainante e maggioritaria…
Si è unito con un programma ben preciso…
Il terzo polo…
Non ha leader credibili e presentabili…
E non capisco perché Conte lo sia di meno…
Come non capisco perché i renziani del PD…
Non vadano con il loro vate…
Con la Gelmini…La Carfagna…
Rosato…
O forse rimangono apposta nel tentativo di distruggere il partito…
Che piaccia o non piaccia…
È il partito di riferimento del centro sinistra…
Il leggere che “a Bologna i seguaci di Schlein governano da oltre due anni ……. massimalismo quasi talebano”, come leggiamo nel secondo commento, mi fa pensare che le relative avvisaglie fossero molto più antecedenti, e del resto all’interno di quell’alveo elettorale la componente massimalista era percepibile abbastanza bene, e avrebbe dovuto esserlo anche per quei socialisti che, pur dichiarandosi riformisti, si sono avvicinati e legati piuttosto a lungo e strettamente a detto alveo elettorale.
Lo dico non tanto per avanzare critiche, ma per un ragionamento più ampio sulla famiglia socialista che, salvo errori di memoria, nella stagione di Tangentopoli aveva guardato in larga misura al Cavaliere, in contrapposizione a quella sinistra uscita indenne da quel tormentato momento, e da tale posizionamento politico nacque poi il Nuovo PSI, esponenti del quale decisero in seguito di “salpare” per nuovi lidi, secondo l’idea che i socialisti non potevano che stare a sinistra, mentre altri invece non si spostarono.
Posso naturalmente sbagliarmi, ma col senno del poi quel “viaggio” è di fatto approdato, consapevolmente o meno, sulla sponda dove il massimalismo non scarseggiava, per dirla con un eufemismo, o nelle sue immediate vicinanze, e si trattava del resto di una destinazione sostanzialmente obbligata, o abbastanza prevedibile, per gli aderenti al principio che i socialisti devono stare comunque a sinistra (ed è il motivo che fece allora desistere dal seguirli chi, non a caso, vi intravvedeva forti incognite).
Oggi sembrerebbe che qualcuno tra quanti fecero quel passo – non so se siano in pochi o tanti – intenda fare una certa qual inversione di marcia, attestandosi semmai a metà strada, il che, se così fosse, è stato certamente soppesato dagli interessati, ed ha quindi le sue indubbie ragioni, ma chi tra loro pensasse di vedersi raggiunto pure da coloro che ai tempi non “traslocarono”, potrebbe restare deluso, io credo, perché ritengo che questi ultimi vogliano rimanere laddove è di casa il pensiero garantista e liberale.
Paolo Bolognesi 11.04.023