Anche se il dogma fu riconosciuto da Papa Pio XII solo il 1 novembre 1950 era dal VII secolo che, dalle parti di Santa Romana Chiesa, il 15 agosto era dedicato alle celebrazioni per “l’assunzione” di Maria in cielo.
È per questo motivo che le “feriae Augusti”, noblesse oblige, furono spostate al 15.
E già perché originariamente, e a partire dal 18 a.C., quello che oggi chiamiamo Ferragosto si celebrava il 1 del mese per festeggiare, in coda ai Consualia (da Conso dio dell’agricoltura), l’avvento del periodo di interruzione dei lavori agricoli e l’inizio del periodo di riposo per i braccianti e i lavoratori della terra.
Poi quel megalomane di Ottaviano trasformò le “ferie dei contadini” nelle “sue ferie” e nacque l’odierno Ferragosto.
Una festa, quindi, che sin dalle sue origini sorge come celebrazione del riposo e di quella che oggi chiamiamo vacanza (da vacatio=sospensione, cessazione).
Con il tempo, e con la affermazione di sempre maggiori aperture a favore dei lavoratori, è diventata il simbolo di un diritto sacramentato anche nella Costituzione (art.36) con il crisma della irrinunciabilità e dal senso nobile e profondo.
Poi, come sempre ci succede, ci siamo scordati del suo significato più vero e la abbiamo buttata a caciara, trasformandola nell’emblema del divertimento, del casino, del gavettone sulla spiaggia o della braciata in montagna, dello spargimento di fiumi di vino e birra, delle feste notturne, prima, durante e dopo, della trasgressione durante il bagno a mezzanotte o dietro una fratta a guardar le stelle. In fondo siamo italiani, ça va sans dire.
Del resto non fu Leopardi a pronunciare il senso umano per la siepe?
Appunto!
E quindi ci ritroviamo a farci gli auguri per questo ennesimo Ferragosto della nostra vita, il sessantaseiesimo per quanto mi riguarda, e, sempre per quanto mi riguarda, col cazzo passato a riposarmi ma trascorrendolo a scrivere questo pezzo per voi e per quei due tiranni del mio editore e del mio direttore (scherzo, Oreste e Mauro vi voglio bene).
Un Ferragosto, diciamocelo, speciale e non solo per le dimissioni da CT della nazionale di Roberto Mancini, che pure ha tardato troppo, dopo la sua collezione di insuccessi di portata tale da dare alla vittoria degli europei più il sapore della botta di culo che quello del merito sportivo.
Speciale perché è finalmente normale. Perché ci ritroviamo tutti, in questa sua vigilia, a preparare ammennicoli e appendicoli vari e quel che serve per domani, che siano costumi da bagno o pantaloni della tuta, panini con la frittata o con il tonno, ma quanto basta per passare una giornata di serenità con i nostri affetti.
Speciale perché segue quello del 2020 nel quale si riaffacciavano minacciosi gli aumenti dei contagi e il baratro di un altro lockdown che, dopo che le illusioni di maggio e giugno ci avevano fatto credere che tutto fosse finito, si era cominciato a ridelineare all’orizzonte rendendo quella giornata di festa tra le più angoscianti di sempre.
Speciale perché segue quello del 2021, nel quale l’argomento del giorno era il numero di dosi di vaccino fatte o da fare ma soprattutto se sarebbero state sufficienti a sconfiggere una volta per tutte quel maledetto animaletto chiamato virus che aveva stravolto l’umanità.
“Niente più tornerà come prima”, avevano tuonato virologi, scienziati, ma anche sociologi, umanisti e cazzi vari che ci avevano quasi convinto che la vita dell’uomo sulla terra fosse cambiata per sempre strappandole di dosso quello che era il vestito più bello, quello della allegria e della gioia, della amicizia e degli amori, da voi chiamato: socialità. E c’era, allora, tanta paura anche perché non sapevamo che la storia li avrebbe clamorosamente smentiti.
Finalmente, archiviato il Covid, sarebbe potuto essere normale anche il Ferragosto del 2022 se degli autentici incapaci non ne avessero stravolto i costumi e quelle finalità di riposo che cominciavamo a sentire sacre.
Un oscuro avvocato pugliese, di Volturano Appula, scaraventato dal più ottuso dei populismi a fare il premier, e poi defenestrato per giusta causa, improvvisatosi leader, faceva cadere per riscatto, o vendetta nei confronti del suo ex socio in affari “Giggino Di Maio”, il governo guidato dal miglior premier degli ultimi trent’anni, determinando lo scioglimento delle camere e il voto anticipato, si badi bene di appena cinque mesi rispetto alla sua cadenza naturale.
E fu così che ci ritrovammo a Ferragosto a fare le file per la presentazione dei simboli, e nella settimana successiva a iniziare il gioco delle candidature con tutte le lacerazioni e le coltellate dietro le spalle che quella carneficina ha comportato.
Era cominciata così la campagna elettorale e agli italiani, sotto gli ombrelloni o all’ombra dei boschi montani, tra uno spaghetto alle vongole e un piatto di San Daniele, venivano serviti fac-simili e depliant elettorali.
Per la prima volta, nella storia democratica del paese, era stata violata una regola tacita da agreement politico che, in settanta anni di vita repubblicana, aveva sempre protetto il riposo e la quiete agostana degli italiani impedendo ed evitando in estate ogni forma di consultazione elettorale.
E sebbene gli autori di quel sacrilegio laico e politico fossero noti, invece di essere puniti dagli elettori, ottennero un sorprendente risultato elettorale, che appannò a tratti anche il successo della Meloni, e che permise loro di riportare in parlamento un neanche tanto piccolo esercito di autentici incapaci, di scappati di casa e “non chiamati” dal Padreterno se non a zappare la terra o a pulire le strade.
Quelli del reddito di cittadinanza, del taglio del parlamentari e di tante altre boiate politiche di portata cosmica e che oggi trascinano la Schlein (che si fa però volentieri trascinare) verso il massimalismo integralista e populista.
C’è il drammatico senso della barbarie che travolge la civiltà giuridica e politica di una nazione anche se non siamo nel 476 d.C. e se non c’è un Odoacre che depone un Romolo Augusto.
Ma a ben vedere anche questo Ferragosto non è poi tanto così speciale da essere normale.
Troppe nubi sulle vette che circondano le nostre vacanze o sugli orizzonti dei nostri mari.
Forse non ce ne siamo accorti ma la benzina costa come il vino e le vacanze a Bellaria come un viaggio alle Maldive, per il carrello della spesa ci vuole una rata di mutuo, la tratta Pescara – Roma in autostrada costa come la Bari – Bologna, i voli sono proibitivi e chi aveva il 110 in corso oggi ci fa appena le serrande delle finestre.
L’inflazione cresce e la politica è ferma, e sul piano internazionale il PNRR balbetta e la guerra continua.
I soliti noti cominciano a girare l’Italia: tra inverno e primavera si vota in Abruzzo e poi per Bruxelles e le facce dei leader e dei candidati hanno l’aria del tout va bien, pas de problème.
Ma quando mai! Segno decadente e decaduto di quanto la politica sia lontana dai cittadini, arrovellata sul “salario minimo”, che potrebbe anche essere una conquista ma non certo per la stragrande maggioranze degli italiani.
Ci vuole ben altro. Serve una riforma del paese a cominciare dai livelli culturali ed etici dei suoi figli e che poi ammoderni lo stato e i suoi servizi e che permetta agli italiani di poter avviare le proprie attività con prospettive, fiducia ed entusiasmo, consapevoli dell’esistenza di un sistema pubblico che ti aiuta e non tiranneggia, che ti incoraggia e non ti ostacola.
Se solo si capisse che abbiamo uno dei paesi più belli del mondo, che da solo vale una fortuna e che qualunque altra nazionalità o etnia ne avrebbe fatto una fonte inaudita di ricchezza, sarebbe già un bel balzo in avanti.
Magari ricordiamocelo nel 2027.
A proposito, salvo elezioni anticipate, si rivoterà ad agosto.
Freghete, na condanna!
Ricordatemelo, che me ne vado in Madagascar tre mesi prima e ritorno quattro mesi dopo.
Buon ferragosto a tutti.
1 commento
Grazie! Sempre giusto e schietto dott. Carugno. Buon Ferragosto!