Di Alessandro Perelli
Le malelingue lo hanno già definito “governo della sfiducia condivisa” per definire quella specie di controsenso che sta nascendo in Bulgaria, paese che dopo le ennesime elezioni anticipate non era riuscito a fare nascere una maggioranza stabile per garantirsi la governabilità necessaria. Tutto era partito, secondo la normale prassi democratica, dall’incarico che il Presidente della Repubblica Rumen Radev aveva affidato all’ex Commissaria Ue Manya Gabriel del Gerb, indicata il 10 maggio dal partito conservatore dell’ex Premier Boyko Borissov, risultato al primo posto dopo la prova elettorale.
La Gabriel aveva cercato di chiudere un accordo con gli unici due partiti disponibili a un alleanza, e cioè il Dps (Movimento per i diritti e la libertà), che rappresenta la minoranza turca e quello del ” grillino” Slavi Trifonov, “C’è un popolo”. Ma il fatto che mancassero ancora cinque deputati per acquisire la maggioranza in Parlamento, e soprattutto il ripensamento di Trifonov, che aveva deciso di ritirare il suo appoggio, l’avevano costretta alla resa.
Tutti, quindi, si aspettavano un ulteriore incarico da parte di Radev al partito, arrivato secondo alle ultime politiche. Ma ecco che con un colpo, che è corretto definire di bacchetta magica, la Gabriel, in una di conferenza stampa, ha annunciato la chiusura di un’intesa di Governo con “Continuiamo il Cambiamento”( Pp), il partito liberale di centro sinistra di Nikolay Denkov, nato proprio come antagonista del Gerb da lui accusato più volte di corruzione, e sempre considerato incompatibile per guidare assieme il Paese.
Mentre la Gabriel svolgeva il suo compito cercando di raffazzonare una maggioranza di Governo, nella segrete stanze si svolgeva la vera trattativa politica, addirittura con l’accordo su una staffetta che avrebbe guidato un Esecutivo di diciotto mesi con i primi nove con Premier Denkov e vice Premier Gabriel e, gli altri, viceversa. Che dire? Francamente è difficile pensare che due forze politiche, che nelle ultime campagne elettorali si sono insultate reciprocamente e hanno chiesto i voti dei bulgari una contro l’altra, trovino la quadra per fare insieme un Governo stabile.
Stabile di sicuro, secondo i numeri: il Gerb ha 69 deputati, il Pp 64 e con i 36 del Dps, che ha subito dichiarato di accordarsi, l’esecutivo vivrebbe sonni tranquilli. Ma la spartizione dei vertici farà il miracolo di appianare le differenze programmatiche e politiche? La staffetta sarà rispettata o, come accaduto più volte in patti di questo tipo, non verrà mai attuata?
L’uscita dall’instabilità politica di Sofia, presenta ancora notevoli dubbi dopo la sorpresa di questo inaspettato accordo. Se ne è fatto interprete il Presidente della Repubblica Rumen Radev, che ha rilevato che dopo il fallimento del primo mandato, il secondo comporti compromessi ancora più pesanti. Il suo richiamo a una necessaria trasparenza delle comunicazioni agli occhi dei bulgari rivela il suo malcontento per come sono state condotte le trattative.
Sullo sfondo bisogna anche tenere conto delle possibili interferenze di Mosca per la presenza di alcuni movimenti filorussi, che hanno fatto sentire il loro peso per non fare accettare al Paese le sanzioni prese dall’Unione Europea contro l’aggressione all’Ucraina. Spesso in politica quello che non ti aspetti diventa realtà e, se il Gerb e il Pp riusciranno ad uscire dalla logica di un’intesa fatta unicamente per non tornare al voto, e della semplice spartizione dei vertici, la Bulgaria potrebbe finalmente affrontare una serie di impegni essenziali per il suo rilancio socio economico e per il suo sviluppo democratico.
Arrivare dunque all’attesa riforma della Costituzione, a una riforma della giustizia che contribuisca a combattere la piaga della corruzione e a recuperare il tempo perduto sul Pnrr e sui fondi del Recovery Fund. Oltre che, finalmente, assicurarsi l’ingrasso nell’Euro. Insomma per recitare all’interno dell’Unione Europea quel ruolo che l’instabilità politica degli ultimi anni le ha impedito di recitare.