Il Cavaliere non sta affatto bene e la cosa ci dispiace perché le sorti della nostra salute sono un bene con il quale non si scherza e non si fa polemica.
A Berlusconi auguriamo che ne esca fuori da leone, come è sempre stato, e ritorni a calcare i percorsi della vita, magari convincendosi che è ora di dedicarsi più a sé stesso che alla guida di partiti o squadre di calcio.
Nelle seconde è stato un uomo di indiscutibile successo. Raccolse il Milan che era sull’orlo del fallimento e ne fece una delle squadre più scintillanti del mondo, ammirata e ricordata ancora oggi.
Anche in politica è stato un uomo di indiscutibile successo, non sempre anche di indiscutibili meriti.
Poi con il passare del tempo, le capacità propositive e organizzative hanno lasciato spazio a uno dei difetti più clamorosi del personaggio: la sua vanagloria e un ego smisurato.
E così nel calcio come in politica sono iniziati veri e propri deliri di onnipotenza tanto da autodefinirsi, e autoconsiderarsi, il più grande statista della storia repubblicana e cavolate varie.
Ma anche nel calcio iniziò a vagheggiare come il Presidente più vincente della storia del calcio e cose simili.
Ovviamente, come sempre succede, tale atteggiamento di supponenza ha vanificato quanto di effettivamente buono, molto buono, aveva nei due campi fatto.
Quindi dopo i trionfi rossoneri e dopo i seducenti progetti di costruire un’area liberal democratica di impostazione laica che raccogliesse dai riformisti ai riformatori, dai liberali ai socialdemocratici, vennero le magre figure.
Forma e non sostanza, ma furono il simbolo del declino dell’uomo, politico e imprenditore sportivo.
E le figuracce si moltiplicarono, dagli urlacci sulla testa coronata di Elisabetta II, alla famosa foto con la maglietta rossonera spacciandosi come giovane calciatore delle giovanili del Milan quando del Milan, da giovane, non aveva mai indossato nulla; la foto era un fotomontaggio e si dubita financo della famosa storiella che andava allo stadio con il papà Luigi a tifare per i rossoneri.
E non servirono le comparsate al congresso americano o le promesse di ricostruire uno squadrone con Brocchi come mister.
Ormai la frittata era fatta e in giro ormai faceva più ridere che scatenare entusiasmi, e ovunque era accolto più per cortesia che per la stima e l’autorevolezza che pensava di incutere.
E poi esplose lo scandalo di Julian Assange e quel famoso “culona inchiavabile” fece il giro del mondo riportando il personaggio bruscamente a terra, dopo che i palloncini platoniani lo avevano portato a levitare tra le nuvole.
Le ultime comparsate da premier con quelle ridicole entrate in aule a dibattito concluso per beccarsi il coro “Silvio, Silvio,” delle sue curve, quasi fosse a San Siro e non nel tempio della democrazia italiana sono il patetico canto del cigno del politico Silvio Berlusconi.
E che dire della vendita del Milan a Yonghong Li dopo che la squadra era stata mestamente smantellata e rottamata.
Anche nello sport gli ultimi tempi sono stati talmente indecenti da cancellare i meriti indiscutibili che aveva guadagnato nei primi anni.
E’ stato capace con le follie, con i vaneggiamenti degli ultimi anni delle sue carriere di azzerare e far dimenticare tutto quanto di buono, e a volte di grandioso, in precedenza aveva fatto.
Oggi lotta per la vita, la sua sfida più difficile, dove non potrà bleffare, non potrà sparare frottole nella speranza di essere creduto.
Non possiamo che augurargli di vincere questa battaglia e lo facciamo con convinzione e sincerità perché vogliamo vederlo vivere a lungo quella stagione che ha meritato e che gli spetta di diritto.
Quella di vivere tranquillo prendendosi cura degli orti di Arcore e occupandosi dei nipotini e della sua compagna Marta Fascina.
Perché per tutti giunge il momento del ritiro.
1 commento
Mi è capitato di leggere che anche in questa circostanza permangono inqualificabili sacche di astioso odio verso il Cavaliere, ma dopo tanti anni di livore versato e sparso a piene mani nei sui confronti, qualcosa doveva pur “restare sul terreno”, nonostante si sia nel frattempo ricreduto più d’uno tra i suoi acerrimi detrattori/denigratori di un tempo (ma quando immetti nella società sentimenti di tale natura, e con una tale veemenza, i loro effetti sono di norma destinati a permanervi lungamente).
Al Cavaliere andrebbe innanzitutto riconosciuto che, dopo Tangentopoli, senza la sua “discesa in campo”, il vuoto politico allora creatosi con la fine della quasi totalità dei partiti della Prima Repubblica, sarebbe stato di fatto e stabilmente occupato da quella sinistra dalla quale gli odierni riformisti, o quantomeno dichiaratisi tali, sembrano voler prendere le distanze, dopo avervi appartenuto per anni, o avervi strettamente collaborato (la nascita di FI ha invece messo a disposizione un’alternativa politica).
Visto poi che una delle doti qualificanti dei riformisti è il “garantismo”, insieme al principio che va riconosciuto a ciascuno la libera espressione del proprio pensiero – tanto da volersi chiamare liberalriformisti o liberalsocialisti – a me pare che il Cavaliere sia stato un “alfiere” e un “araldo” del garantismo, e del pensiero liberale, e se i socialisti, o meglio una loro parte, possono avere motivi e ragioni per muovere critiche alla sua azione politica, dovrebbero nondimeno riconoscergli quanto dicevo.
Paolo Bolognesi 07.04.2023