Tra, a parte alcune eccezioni, il completo disinteresse del mondo femminista occidentale e italiano, il regime degli Ayatollah continua a perseguire gravi discriminazioni nell’ambito lavorativo e politico nei confronti del genere femminile, calpestando i più elementari diritti delle donne. Il 16 settembre dello scorso anno, la ventiduenne curdo Iraniana Mahsa Amini moriva in stato di custodia dopo essere stata violentemente malmenata, arrestata dalla, tristemente famosa, polizia morale istituita con il compito principale di vigilare e colpire gli infedeli e nella fattispecie le iraniane che indossano male l’hijab, cioè il velo allacciato sotto la gola per coprire il capo e le spalle. Ciò aveva fatto nascere contro la classe dirigente e il Presidente ultra conservatore Ebrahim Raisi un movimento di protesta denominato “Donna, vita e libertà” che a Teheran e in altre città aveva coraggiosamente organizzato varie manifestazioni di protesta contro il regime, represse con arresti e violenze dalle forze dell’ordine.
Il 23 ottobre scorso i giudici della capitale hanno condannato a 13 e 12 anni di carcere Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi, due giornaliste, che avevano seguito il caso della Amini, con l’accusa di attentare alla sicurezza nazionale in combutta con gli Stati Uniti. Le sentenze emesse da un Tribunale della rivoluzione sono state definite appellabili dagli avvocati delle due che le hanno bollate come ingiuste e vergognose ma danno l’idea del clima di repressione attualmente esistente in Iran. Anche questo fatto ha determinato un’ondata di disapprovazione da parte di quella società civile che, nel Paese, si sta opponendo, magari in forma non pubblica per evitare ripercussioni personali, al regime degli Ayatollah. Tanto che le attuali dichiarazioni belliche contro Israele per la sua giusta difesa dagli attacchi terroristici di Hamas sembrano anche un diversivo per convincere l’ opinione pubblica a non dividersi sul tema dell’intransigenza governativa, ma di stare unita in un momento in cui il Paese è minacciato da Usa e Israele.
Le due giornaliste erano state arrestate in due momenti diversi. Hamedi dopo aver scattato una foto ai genitori della Amini in un ospedale di Teheran, dove la figlia giaceva in coma per le percosse ricevute. Mohammed invece era stata fermata mentre assisteva al funerale della Amini nella sua città nativa curda. Ma il 1° ottobre scorso, una ragazza di 16 anni, Armita Garawand, è stata malmenata violentemente in metropolitana, nella capitale, dalla polizia morale perché non aveva rispettato l’obbligo di indossare il velo. Perduti i sensi è stata ricoverata in rianimazione in ospedale ma dopo tre settimane è stata decretata la sua morte cerebrale a cui è seguito il suo decesso. Amnesty International ha sollecitato la comunità internazionale a pretendere che una missione, istituita dall’ONU per indagare sul caso, avesse tutte le spiegazioni richieste alle autorità iraniane. Ma queste hanno insistito sull versione ufficiale che ha dato la causa del ricovero a un calo di pressione della giovane e alla sua successiva caduta su un sostegno metallico. E’ stato anche chiaramente artefatto il filmato girato dalle telecamere poste sulla metropolitana. Inoltre parecchi testimoni hanno avuto il coraggio di smentire questa versione dì comodo e un’altra giornalista è stata arrestata mentre cercava di indagare sull’episodio. In Iran le donne continuano a chiedere incessantemente giustizia, eguaglianza e democrazia ma la risposta è sempre la repressione e la discriminazione del regime.