Quei palazzi sventrati, vuote cornici di un dolore che non è difficile da immaginare, fanno il paio con altre immagini che sono state erte a emblema di un altro teatro dell’orrore e del dolore, l’Anatolia Orientale.
Sono le icone che affideranno ai ricordi la storia di questi ultimi 12 mesi. Una storia di morte e dolore, di distruzione e disperazione, di popoli e genti e che hanno perso tutto, a volte anche i figli, giovani, ragazzi, bambini, bambini, bambini, quanti bambini, troppi bambini.
Una storia che a volte passa nella nostra vita di tutti i giorni ammantata dalla nebbia dell’indifferenza, così attenti alle nostre sofferenze ben più piccole di quelle che stanno patendo donne e uomini dalle parti del Mar Nero. Ma del resto si sa, le tragedie ti toccano solo quando accadono dentro casa.
Due vicende di dolore che una drammatica ironia della sorte le ha disegnate dirimpettaie, sulle opposte sponde di un mare che è sempre stato il crocevia di grandi eventi della storia.
Due storie che hanno però mani diverse, l’una creata dalla natura, l’altra voluta dall’uomo.
Della seconda oggi si celebra un anno dal suo inizio.
Dodici mesi fa regnava lo scetticismo, magari non sincero, forse era la sabbia dove affondare la testa dello struzzo, nell’istintivo tentativo di esorcizzare tragedie e dolore.
Ovunque ci si chiedeva, e non si credeva, se fosse possibile che potessero essere ordinate invasioni, cannonate, bombardamenti. E poi è successo. E il mondo si è schierato, la politica ha giudicato, la diplomazia ha iniziato a trattare.
L’escalation è pero proseguita, più quella delle tensioni che quella militare. Siamo passati dalle bombe alle minacce, ma di pericoli ben peggiori e devastanti di quelli sino a ora accaduti.
Il mondo atlantico si compatta ma dalle parti del Fiume Azzurro cominciano ad alzare la voce.
Una volta erano gli Stati Uniti il gigante dormiente da non risvegliare, e quando invece accadde fu la Normandia, fu la Sicilia, ma fu anche Hiroshima e poi Nagasaki.
Oggi il gigante che dorme è l’impero che ha come capitale Pechino. Sta iniziando a svegliarsi anche se non ha subito la sua Pearl Harbour. Ma minaccia la stessa distruzione che, quasi ottanta anni fa, Enola Gay seminò nel sud del Giappone. Era il 6 agosto del 1945 e un aereo americano, con quel nome così buffo che dopo divenne anche il titolo di una canzone, sganciò la prima bomba atomica della storia.
No, oggi non sarebbe uguale, sarebbe mille volte più devastante. Sarebbe una ecatombe. Il potenziale militare nucleare è cresciuto in maniera talmente esponenziale che la distruzione che potrebbe spargere è solo calcolabile ma non può essere immaginata.
Oggi se ne comincia a parlare, ma lo scetticismo è lo stesso di un anno fa.
“Non arriveranno a tanto” dicono alcuni, “non avranno il coraggio” dicono altri.
Mentre dalle nostre parti non siamo compatti e nella disputa su chi è buono e chi è cattivo c’è chi si schiera con Putin e chi con Zelenski.
E fa niente che Berlusconi si ritrova seduto vicino a Di Battista, fa niente se dalle parti di piazza Colonna c’è un mondo della politica che finge di essere, o di non essere, pro l’uno e contro l’altro perché in molti, neanche tanto tempo fa, avevano tessuto le lodi del capo del Cremlino e oggi masticano amaro nel doversi rimangiare quanto detto, mentre il popolo italiano si divide così aduso a fronteggiarsi sulle opposte curve della attualità del momento. È il dramma del nostro paese, tutti virologi, metereologi, sismologi, commissari tecnici della nazionale e oggi analisti di politica internazionale. Quasi fosse un Risiko.
In una situazione che invece si fa seria e per la quale c’è poco da scherzare, come lo era un anno fa nonostante anche allora si scherzasse, due sole riflessioni possono essere fatte.
Chi ha invaso è stata la Russia e chi è stata invasa è stata l’Ucraina.
In un mondo civile, maturo, responsabile, indipendentemente dai torti e dalle ragioni, qualunque controversia internazionale dovrebbe essere risolta, sempre, sui tavoli della politica e della diplomazia e con gli strumenti della discussione e del confronto,.
Giammai in teatri di guerra e con l’uso delle bombe.
Specie se atomiche,
1 commento
Sempre giusto, preciso ed emozionante.. grazie