Di Francesco Mancini
L’astensionismo odierno è una questione di noia o di protesta?
Le ultime elezioni politiche sono state un fallimento, della democrazia.
Il risultato definitivo dell’affluenza è stato del 63,91%, rispetto alle precedenti votazioni del 2018, dove invece l’affluenza fu del 72,94%, vi è stato un calo di oltre 9 punti, il più alto in assoluto di tutta la storia repubblicana.
Non si tratta di un semplice incidente di percorso, ma vi è un chiarissimo segnale di sofferenza della democrazia.
E mentre i principali esponenti dei partiti italiani si sono parati dietro generiche dichiarazioni inerenti alla necessaria autocritica e progettare il futuro
Viene spontaneo e lecito domandarsi il perché di questa insofferenza sempre più elevata verso uno dei diritti fondanti del nostro paese: il voto.
L’astensionismo ad oggi è riconosciuto come un legittimo comportamento del cittadino, a differenza del passato, e secondo le leggi nn. 276 e 277 del 4 agosto 1993, l’espressione del voto viene ridefinito solamente come un “diritto” e non più come un “diritto ed un dovere”.
Vi è stata quindi una perdita di “sacralità”, di importanza del voto, con conseguente cambio di comportamento dei votanti.
Passati dall’utilizzarlo come strumento per il cambiamento a strumento facoltativo sui cui riversare il proprio mal di pancia temporaneo, contro una classe dirigente ritenuta inadeguata.
Del resto l’astensionismo ha sempre avuto delle chiare motivazioni sin dalla nascita dell’Italia: i cattolici seguirono il “non expedit” andando ufficialmente a votare solo dopo la sua abrogazione nel 1919 da parte di Benedetto XV.
Gli Anarchici rigettavano il voto in quanto ritenevano il Parlamento una forma d’istituzione anacronistica e da abbattere.
Durante il ventennio fascista gli astensionisti erano una sparuta e coraggiosa minoranza.
Nel secondo dopoguerra invece gli italiani hanno una gran voglia di partecipazione democratica, voglia che si riflette nell’affluenza alle urne, con la novità dell’estensione del diritto di voto alle donne.
Fra il 1948 e il 1976 ai seggi per le elezioni politiche si reca almeno il 92% degli aventi diritto numeri.
giustificati dal desiderio dei cittadini di riprendersi quelle libertà politiche negate dal regime e dalla volontà di compiere quel diritto-dovere che la nuova Costituzione repubblicana assicurava loro, e la legge sanzionava coloro che non partecipassero al voto.
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Astensionismo odierno: Vivere nell’epoca dell’astensionismo come simbolo di sfiducia-protesta.
Coincide anche con la spersonalizzazione dei partiti politici, sempre più distanti concettualmente e oggettivamente da ciò che era il partito di massa degli ultimi 60 anni.
Partiti oramai incapaci nell’ascoltare il cittadino e fare da tramite con le istituzioni, partiti sempre più burocratici e tendenti alla propria autoconservazione.
Insomma se prima aveva questo ruolo di tramite dei bisogni della società, oggi si è trasformato invece in una macchina, in uno strumento per il raggiungimento del consenso a tutti costi, saldo nelle mani di un leaderche tenta spesso richiami ad ideologie chiaramente superate.
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Un tentativo di categorizzazione ormai effimero.
Con il mondo dei social praticamente fuori controllo nella politica, sviluppa un uso indiscriminato di fake news, spesso create ad arte per fomentare odio verso la fazione opposta, o per creare post ingannevoli da comunicare ai propri followers.
In tutto questo clima di incertezze l’elettore è la principale vittima, ormai privo di chiari riferimenti ideologici e con una classe dirigente che vede come burocratica e focalizzata sui propri interessi, incapace o che forse non ha voglia di ascoltarlo.
Chiaramente un contesto del genere crea una sorta di passività e di disinteresse verso le istituzioni e i partiti stessi.
I cittadini, oltre ad avvertire le istituzioni come lontane e incomprensibili, si ritrovano a dover votare delle persone verso cui non nutrono la benché minima fiducia, a dover operare una scelta importante fra astensionismo o voto per il “meno peggio”.
Una questione che non è mai stata analizzata seriamente e che nelle elezioni di quest’anno ha dimostrato le sue amare conseguenze: più di un terzo della popolazione non è andato a votare.
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l centro-nord i dati di affluenza hanno tenuto botta:
L’astensionismo nel Lazio al 63% e Lombardia al 70%, è al sud che abbiamo un’emorragia di elettori, che ha numeri quasi da diserzione civile, con la Campania al 56%, Puglia 56,5%, Sardegna 50,9%.
Segnali anche di una profonda questione meridionale forse mai pienamente affrontata dal mondo politico.
È la storia a doverci far riflettere, se il popolo reputa inutile l’esercizio del voto significa che non crede più nel momento elettorale come occasione di cambiamento, esprime delusione e rabbia rimanendo a casa.
Dunque a cosa ci troviamo di fronte: astensionismo volontario o disaffezione politica?
Qualunque sia la risposta, vi è da difendere un diritto importantissimo che abbiamo guadagnato con il sangue, abbattendo un regime dove la libertà di espressione o di scelta non era una cosa scontata.