Di Fabrizio Montanari
Arturo Bellelli, classe 1871, nacque come Amilcare Storchi, a San Martino in Rio, in provincia di Reggio Emilia. Animatore e collaboratore de La Giustizia, si dedicò con grande convinzione alla organizzazione di tutto il mondo nato fuori e in alternativa a quello capitalista: Leghe di resistenza, Mutue, Sindacati, Cooperative.
Nel maggio 1901 la Federazione delle cooperative di lavoro, la più vecchia federazione fra lavoratori della provincia, promosse un congresso al quale intervennero circa 200 rappresentanti di 77 associazioni (22 cooperative di lavoro, 21 di consumo, 24 società di mutuo soccorso e 10 leghe di resistenza). La proposta avanzata da Bellelli in quella occasione di costituire una Camera del Lavoro provinciale venne approvata quasi all’unanimità.
Nacque così, nel luglio 1901, la Camera del lavoro di Reggio Emilia, guidata appunto da A. Bellelli. Pochi mesi dopo, nel 1902, venne sostituito da Antonio Vergnanini, rientrato dall’esilio svizzero, dopo la repressione crispina del 1894. Come Presidente della cooperativa falegnami, partecipò inoltre a tutte le assise indette dal movimento cooperativo reggiano, assicurando sempre il suo apporto d’esperienza e di idee.
Abile conferenziere e polemista raffinato, partecipò con Vergnanini ad alcuni contraddittori pubblici, diversi dei quali sono rimasti impressi nella memoria collettiva per gli argomenti affrontati e l’efficacia del suo eloquio. Si ricorda in particolare quello svolto nel 1903 a Cavriago, che vide confrontarsi da un lato Guido Meroni, direttore del settimanale L’Azione cattolica, e don Ercole Bedeschi e dall’altro lato Bellelli e Vergnanini. Nella piazza principale del paese gremita all’inverosimile, i protagonisti si confrontarono principalmente sullo scottante tema dell’anticlericalismo socialista, già oggetto di scomunica.
Con il passaggio di Vergnanini, nel 1912, alla segreteria della Lega nazionale delle cooperative a Milano e poi a Roma, Bellelli rivestì di nuovo la carica di segretario della CdL, con al fianco tanti compagni di antica fede. Eletto consigliere comunale, fin dal 1899, rivestì anche la carica di assessore all’anagrafe e alle elezioni. Bellelli si rivelò un instancabile e competente collaboratore del sindaco Luigi Roversi alla guida della amministrazione pubblica reggiana. Durante il primo conflitto mondiale spese tutto sé stesso per alleviare i gravi disagi della popolazione. Allo scopo mobilitò tutte le risorse sindacali e cooperative per realizzare i progetti che il sindaco Roversi e la sua amministrazione misero in cantiere per vincere la povertà, la fame e la disoccupazione.
Nel 1919, dopo due precedenti tentativi, venne finalmente eletto deputato con 14141 voti di preferenza.
Nel 1920 tentò di risolvere la gravosa situazione che si era determinata alle Officine reggiane in seguito all’occupazione della fabbrica, durante il cosiddetto “biennio rosso”. Bellelli, che allora rivestiva contemporaneamente le cariche di deputato e di segretario della CdL reggiana, propose di trasformare la fabbrica in cooperativa, grazie all’aiuto finanziario dell’Istituto nazionale delle assicurazioni sociali.
La proposta, una volta illustrata e discussa, venne approvata nella assemblea interna il 17 ottobre 1920. Tutto sembrò concludersi per il meglio, quando il 28 gennaio 1921 Umberto Terracini, di ritorno dal congresso di Livorno, tenne un comizio al Teatro Ariosto per denunciare sia l’accordo siglato dalla CGIL con gli industriali, che mise fine al periodo delle occupazioni delle maggiori fabbriche del Nord Italia, sia la proposta di Bellelli, giudicata interna alla logica borghese. Terracini si rivelò così convincente che l’assemblea bocciò, anche se solo per una ventina di voti, la proposta avanzata di trasformare l’azienda in cooperativa.
Quella sconfitta fu probabilmente la più pesante e significativa subita dal riformismo reggiano e, in particolare da Bellelli.
La devastazione della sede della CdL diretta da Bellelli, avvenuta poco dopo, l’8 aprile 1921, rappresentò la sconfitta definitiva del “sistema socialista reggiano”, o come molti usavano definirla, della “cittadella rossa”.
Bellelli cercò, come Vergnanini, di salvare in tutti i modi l’esistenza delle cooperative dall’orda fascista, ma ogni suo sforzo fu inutile.
Durante il regime fascista non volle abbandonare Reggio, dove aprì un negozio di mobili, che però dovette chiudere per mancanza di clienti. Da quel momento visse in povertà, aiutato dalla figlia Rina e da qualche vecchio amico.
Nel 1930 partecipò con pochi altri compagni, tra i quali Zibordi e Alberto Simonini, al funerale semiclandestino di Camillo Prampolini, che ebbe luogo a Milano.
A guerra finita ritornò al suo lavoro, alla Presidenza cioè della Federazione provinciale delle cooperative.
Nel suo intervento al primo congresso prov. delle cooperative, Bellelli svolse questa considerazione: Quando siamo alle soglie delle nostre cooperative dimentichiamo di essere degli uomini di partito per essere soli cooperatori; cerchiamo di lasciare fuori dalla porta quanto di gretto, di meschino, di particolaristico, di egoistico ci può essere in ciascuno di noi per ricordare solo che siamo i militanti della grande idea socialista, di un movimento che ha per emblema due mani che si stringono e per motto le parole della fraternità: uno per tutti, tutti per uno”.
Il 10 giugno 1945 i socialisti reggiani vollero commemorare Giacomo Matteotti con una grande manifestazione che si svolse in piazza della Vittoria e alla quale parlarono Bellelli, Simonini, Gombia per il PCI e il prefetto Vittorio Pellizzi.
Dopo la scissione di Palazzo Barberini del 1947, Bellelli, come altri 4000 iscritti, preferì non iscriversi a nessuno dei due partiti socialisti usciti dal congresso: il PSI e PSLI.
Il primo segretario della Camera del Lavoro di Reggio e primo presidente della Lega delle cooperative, morì a Reggio nel febbraio 1949.