Di botto, dalle parti di Palazzo Chigi, scoprono il “Made in Italy”.
Dico di botto perché non che prima non esistesse, ma nessuno se ne occupava, almeno ai livelli istituzionali.
E come con tutte le nuove scoperte si celebrano i giorni della sposa, con una valanga di attenzioni che vengono riversate sulla new entry, per finire dopo qualche tempo nelle polverose nicchie dei ricordi.
E così un disegno di legge, approvato oggi dal Consiglio dei Ministri, prevede una gran numero di interventi e di iniziative a tutela del prodotto della eccellenza nazionale.
Diversi sono lodevoli.
Innanzitutto è stata prevista l’istituzione di un fondo sovrano italiano, denominato “Fondo Strategico Nazionale del Made in Italy”, con una dotazione iniziale di un miliardo.
Tale iperbolica somma è destinata a stimolare la crescita e il consolidamento delle filiere nazionali che si pongono in una posizione strategica anche in relazione alla fase di approvvigionamento critico delle materie prime.
Oltre a questo intervento complessivo sono state adottate alcune misure di settore destinate a particolari eccellenze della produzione nostrana quali quelle del legno-arredo, del tessile, della nautica, della ceramica e dei prodotti orafi.
Dieci milioni di euro sono destinati al potenziamento delle start-up e alle iniziative di imprenditoria femminile.
Il progetto di legge prevede anche l’istituzione della “Esposizione nazionale permanente del Made in Italy” per dare ai settori interessati uno strumento efficace di promozione.
E ancora viene istituita la registrazione dei luoghi della cultura industriale e dei titoli di proprietà industriale e rafforzata della tutela dei domini internet registrati.
Ma la cosa che più colpisce è l’istituzione del “Liceo del Made in Italy”.
“Per promuovere le conoscenze e le abilità,” dicono al Mimit, “connesse all’eccellenza dei prodotti e della tradizione italiana attraverso un percorso liceale in grado di dare competenze storico-giuridiche, artistiche, linguistiche, economiche e di mercato idonee alla promozione e alla valorizzazione dei singoli settori produttivi nazionali che tengano conto delle specifiche vocazioni dei territori”.
Ma che roba è?
Non si tratta di fare i super-criticoni a prescindere, anzi la destinazione di fondi e la istituzione di strutture alla tutela dei settori nazionali di produzione delle eccellenze è un’opera di tutto rispetto e degna di apprezzamento ma il troppo stroppia e fa strafare.
Sarà che sono fermo ai tempi del Liceo Classico e del Liceo Scientifico, sarà che quando sento che il biennio del Classico non si chiama più IV e V Ginnasio, ma I e II Liceo e che l’ultimo anno non viene più chiamato III Liceo ma V Liceo mi viene il vomito e le gambe mi cominciano a tremare per una imminente crisi isterica, sarà che ho già dovuto a fatica digerire la istituzione di Licei delle Scienze Umane, Musicali, Artistici, dello Sport e compagnia cantante che ora che mi tocca pure ingoiare a forza il Liceo del Made in Italy, è come l’olio di ricino con l’imbuto attaccato al tubo che mi scende nel gargarozzo o la vittoria dell’Inter alla prossima finale di Champions League.
Liceo, questa parola, che viene dal greco antico, era il nome di una località nei pressi del monte Licabetto (monte dei lupi, λύκος) attorno al quale si sviluppò Atene, che traeva nome dal santuario di Apollo Liceo e dove Aristotele aveva fondato la sua scuola.
I discepoli, cui il filosofo impartiva i suoi insegnamenti, si dividevano in quelli che erano “iniziati” e frequentavano la scuola come interni, gli “esoterici”, (a cui erano riservate le lezioni più specialistiche e complesse) e coloro che partecipavano come discepoli esterni “essoterici” (uditori a cui era dedicata la parte divulgativa della dottrina).
Il piano di studi della sua scuola si sviluppava in tre tipi di corsi:
- scienze teoretiche dedicate all’osservazione degli enti e del loro divenire (fisica, zoologia, psicologia) e degli enti immobili (metafisica e teologia);
- scienze pratiche, che dovevano guidare all’azione (etica e politica);
- scienze poietiche (retorica e poetica).
La logica non compariva come scienza, ma come strumento propedeutico allo studio di qualsivoglia scienza.
Ma che ce frega direte voi.
Ma questa digressione culturale è funzionale a far comprendere quale tradizione si racchiuda dietro la parola Liceo.
In un altro articolo mi sono soffermato a cercare di illustrare quanto siano importanti le tradizioni, specie se fondano le loro radici nei millenni.
Necessarie a dare alle istituzioni quella solennità essenziale ad avvolgerle di sacralità e fonte di ispirazione, per i componenti di una comunità, di quel rispetto necessario a garantirne la dignità.
Questo per dire anche che riguardo alla istituzione del Liceo la mia non è una inadeguata e arretrata manifestazione conservatrice, ma è l’aspirazione a cercare di conservare, il più possibile, il senso della dignità alle istituzioni.
È per questo che la iniziativa del governo è solo l’allungamento di un elenco già arricchito abbondantemente del superfluo.
È per questo che non serviva un nuovo Liceo, le cui materie di insegnamento sono già impartite in altre scuole.
Forse si tratta solo di una iniziativa per far vedere di fare qualcosa. Forse si naviga a vista.
Perché se c’è un luogo, nel nostro paese, dove più di qualunque altro è necessaria la dignità della istituzione è la scuola.
Perché forma i nuovi cittadini e se i nuovi cives non crescono e non maturano culturalmente con il senso del rispetto delle istituzioni non ne avranno neanche per i loro simili e forse neanche per loro stessi.
1 commento
…Non è con il proliferare delle tipologie di scuole che si rafforza il livello di istruzione dei giovani: basta introdurre elementi di diritto/ economia e rafforzare l’ insegnamento di storia dell’ arte e musica sin dalle scuole secondaria di primo e fino a tutto secondo grado.
Com’è risaputo, poi, il metodo di insegnamento delle lingue è ancora inefficace: tempo perso, energie sprecate se un ragazzo dopo ben 8 anni ( a partire dalle prima classe della primaria) non sa ancora intavolare un minimo di dialogo non scolastico e non dipende dai ragazzi o dalle famiglie ma solo dall’ inadeguatezza della scuola.