di Lucia Abbatantuono.
Nel 2022 le autorizzazioni per la vendita e l’acquisto di armi in Italia hanno superato i 6 miliardi di euro. Abbiamo autorizzato l’esportazione di armi per un valore di 5,3 miliardi di euro e ne abbiamo importate per circa 728 milioni. Rispetto al 2021, le autorizzazioni per le esportazioni di armamenti sono cresciute del 15%.
A dirlo è la “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, pubblicata pochi giorni fa dal Parlamento. Il documento, di oltre mille pagine, specifica anche quali sono i Paesi acquirenti, le tipologie di armi più vendute e le principali aziende coinvolte in questo commercio.
Diciamo subito che in Italia per esportare armi e tecnologie militari servono specifiche autorizzazioni governative che possono essere concesse solo se le armi risultino vendute a nazioni che non hanno attaccato o invaso altri Paesi, oppure a nazioni non sottoposte a embargo da parte delle organizzazioni internazionali cui aderisce la nostra Repubblica. In pratica la vendita deve essere conforme alla politica di difesa dell’Italia e deve rispettare i principi costituzionali (segnatamente gli articoli 10 e 11 Cost.). A controllare le vendite e a concedere le licenze è il Ministero degli Esteri.
Tralasciando il dato sulle importazioni perchè parziale (non considera i trasferimenti dai Paesi dell’Unione europea), il dato delle esportazioni del 2022 è in aumento rispetto ai circa 4,6 miliardi del 2021: pur restando linea con quelli degli anni precedenti al Covid, si tratta di valori che restano comunque molto più bassi rispetto a quelli del 2016, quando le autorizzazioni superarono i 14 miliardi.
Il 61,5% degli armamenti esportati ha raggiunto Paesi che sono fuori sia dall’Unione Europea che dalla Nato, ma quelle verso i nostri Alleati hanno comunque raggiunto il massimo dal 2015, e il 2022 risulta essere il quinto anno consecutivo in cui si registra un aumento delle vendite verso UE e Nato.
Il principale destinatario delle armi italiane è stata la Turchia, con esportazioni militari per 598 milioni di euro. Al secondo posto gli Stati Uniti (533 milioni), al terzo la Germania (407 milioni). Nella classifica generale seguono poi due Paesi non europei e non membri Nato: il Qatar (256 milioni) e Singapore (177 milioni). Nei primi dieci destinatari troviamo anche Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e Arabia Saudita.
Rispetto al 2021 sono diminuite del 30% le esportazioni verso gli USA, ma sono aumentate del 55% quelle verso la Germania. La vendita verso la Turchia è cresciuta di ben 14 volte, mentre quelle verso Paesi Bassi e Francia hanno registrato un netto calo rispetto al 2021.
Tra i partner commerciali non figura l’Ucraina, a cui i governi italiani hanno donato (e non venduto) armamenti con vari pacchetti di aiuti fin da quando è iniziata la guerra nel febbraio 2022. Il valore preciso degli armamenti dati dall’Italia all’esercito ucraino è ignoto, visto che le liste delle armi restano secretate per ragioni di sicurezza.
Ma che armi esportiamo, nel dettaglio? La netta maggioranza delle esportazioni (l’87,5%) riguarda i materiali; i ricambi pesano per il 7,5%, la tecnologia per il 3,7% e i servizi per l’1,3%.
Tra i principali materiali esportati, gli aeromobili hanno raggiunto il valore di 862 milioni di euro, seguiti da bombe, siluri, razzi e missili (540 milioni) e dai veicoli terrestri (369 milioni). Nel gruppo dei ricambi pesano in modo particolare quelli per i veicoli blindati, mentre nei servizi quelli destinati ai motori.
In tutto l’arco del 2022 l’intera vendita di armamenti ha riguardato poche aziende: le prime quattro rappresentano da sole, infatti, i tre quarti delle autorizzazioni a esportare. La stessa Leonardo, il cui maggiore azionista è il Ministero dell’Economia e delle Finanze, pesa per il 47%; Iveco Defence Vehicles per il 14%; Mbda Italia per l’8% ed Elettronica S.p.a. per il 4,4%.
La Relazione da cui sono tratti questi dati è è stata presentata con mesi di ritardo al Parlamento, mentre intanto il governo modificava la Legge n.185 del 1990 sull’import-export di armamenti. proponendo di rimettere nelle mani della politica, e non più di un’agenzia indipendente, le decisioni riguardanti i criteri per il commercio di armamenti. L’intenzione, concretizzatasi già con una prima proposta di riforma dell’agenzia incaricata dei controlli, (l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento – UAMA), è stata approvata dal Consiglio dei ministri a inizio agosto.
L’esecutivo è andato cioè a rispolverare il vecchio Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD) abolito nel lontano 1993. All’epoca lo si cancellò per rendere il processo decisionale apolitico, con funzionari specializzati che avrebbero valutato il rispetto delle norme in vigore delle singole richieste di autorizzazione senza influssi politici di sorta.
Con i cambiamenti proposti dal governo, invece, la decisione torna di fatto in mano alla maggioranza: infatti, dopo 30 anni, il comitato sarà presieduto dalla Presidenza del Consiglio e composto dai ministri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e del Made in Italy.
Saranno loro, una volta approvato il disegno di legge, a formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della L.185/90 e delle politiche di scambio nel settore della Difesa.
Dicono che l’obiettivo sia quello di velocizzare le procedure ed evitare che le richieste di autorizzazione si perdano in cavilli burocratici, ma è chiaro che si voglia rinvigorire il senso della netta responsabilità politica sulle decisioni prese. Responsabilità che, in realtà, c’era già, dato che il compito dell’UAMA era proprio quello di rispondere agli indirizzi in materia di import/export limitandosi a garantire il rispetto delle leggi in vigore.
Cos’altro vorranno riesumare, adesso?
A dirlo è la “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, pubblicata pochi giorni fa dal Parlamento. Il documento, di oltre mille pagine, specifica anche quali sono i Paesi acquirenti, le tipologie di armi più vendute e le principali aziende coinvolte in questo commercio.
Diciamo subito che in Italia per esportare armi e tecnologie militari servono specifiche autorizzazioni governative che possono essere concesse solo se le armi risultino vendute a nazioni che non hanno attaccato o invaso altri Paesi, oppure a nazioni non sottoposte a embargo da parte delle organizzazioni internazionali cui aderisce la nostra Repubblica. In pratica la vendita deve essere conforme alla politica di difesa dell’Italia e deve rispettare i principi costituzionali (segnatamente gli articoli 10 e 11 Cost.). A controllare le vendite e a concedere le licenze è il Ministero degli Esteri.
Tralasciando il dato sulle importazioni perchè parziale (non considera i trasferimenti dai Paesi dell’Unione europea), il dato delle esportazioni del 2022 è in aumento rispetto ai circa 4,6 miliardi del 2021: pur restando linea con quelli degli anni precedenti al Covid, si tratta di valori che restano comunque molto più bassi rispetto a quelli del 2016, quando le autorizzazioni superarono i 14 miliardi.
Il 61,5% degli armamenti esportati ha raggiunto Paesi che sono fuori sia dall’Unione Europea che dalla Nato, ma quelle verso i nostri Alleati hanno comunque raggiunto il massimo dal 2015, e il 2022 risulta essere il quinto anno consecutivo in cui si registra un aumento delle vendite verso UE e Nato.
Il principale destinatario delle armi italiane è stata la Turchia, con esportazioni militari per 598 milioni di euro. Al secondo posto gli Stati Uniti (533 milioni), al terzo la Germania (407 milioni). Nella classifica generale seguono poi due Paesi non europei e non membri Nato: il Qatar (256 milioni) e Singapore (177 milioni). Nei primi dieci destinatari troviamo anche Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e Arabia Saudita.
Rispetto al 2021 sono diminuite del 30% le esportazioni verso gli USA, ma sono aumentate del 55% quelle verso la Germania. La vendita verso la Turchia è cresciuta di ben 14 volte, mentre quelle verso Paesi Bassi e Francia hanno registrato un netto calo rispetto al 2021.
Tra i partner commerciali non figura l’Ucraina, a cui i governi italiani hanno donato (e non venduto) armamenti con vari pacchetti di aiuti fin da quando è iniziata la guerra nel febbraio 2022. Il valore preciso degli armamenti dati dall’Italia all’esercito ucraino è ignoto, visto che le liste delle armi restano secretate per ragioni di sicurezza.
Ma che armi esportiamo, nel dettaglio? La netta maggioranza delle esportazioni (l’87,5%) riguarda i materiali; i ricambi pesano per il 7,5%, la tecnologia per il 3,7% e i servizi per l’1,3%.
Tra i principali materiali esportati, gli aeromobili hanno raggiunto il valore di 862 milioni di euro, seguiti da bombe, siluri, razzi e missili (540 milioni) e dai veicoli terrestri (369 milioni). Nel gruppo dei ricambi pesano in modo particolare quelli per i veicoli blindati, mentre nei servizi quelli destinati ai motori.
In tutto l’arco del 2022 l’intera vendita di armamenti ha riguardato poche aziende: le prime quattro rappresentano da sole, infatti, i tre quarti delle autorizzazioni a esportare. La stessa Leonardo, il cui maggiore azionista è il Ministero dell’Economia e delle Finanze, pesa per il 47%; Iveco Defence Vehicles per il 14%; Mbda Italia per l’8% ed Elettronica S.p.a. per il 4,4%.
La Relazione da cui sono tratti questi dati è è stata presentata con mesi di ritardo al Parlamento, mentre intanto il governo modificava la Legge n.185 del 1990 sull’import-export di armamenti. proponendo di rimettere nelle mani della politica, e non più di un’agenzia indipendente, le decisioni riguardanti i criteri per il commercio di armamenti. L’intenzione, concretizzatasi già con una prima proposta di riforma dell’agenzia incaricata dei controlli, (l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento – UAMA), è stata approvata dal Consiglio dei ministri a inizio agosto.
L’esecutivo è andato cioè a rispolverare il vecchio Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD) abolito nel lontano 1993. All’epoca lo si cancellò per rendere il processo decisionale apolitico, con funzionari specializzati che avrebbero valutato il rispetto delle norme in vigore delle singole richieste di autorizzazione senza influssi politici di sorta.
Con i cambiamenti proposti dal governo, invece, la decisione torna di fatto in mano alla maggioranza: infatti, dopo 30 anni, il comitato sarà presieduto dalla Presidenza del Consiglio e composto dai ministri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e del Made in Italy.
Saranno loro, una volta approvato il disegno di legge, a formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della L.185/90 e delle politiche di scambio nel settore della Difesa.
Dicono che l’obiettivo sia quello di velocizzare le procedure ed evitare che le richieste di autorizzazione si perdano in cavilli burocratici, ma è chiaro che si voglia rinvigorire il senso della netta responsabilità politica sulle decisioni prese. Responsabilità che, in realtà, c’era già, dato che il compito dell’UAMA era proprio quello di rispondere agli indirizzi in materia di import/export limitandosi a garantire il rispetto delle leggi in vigore.
Cos’altro vorranno riesumare, adesso?