di Alessandro Perelli.
Cosa può fare un Paese per l’ennesima volta sull’orlo del fallimento e sempre più indebitato verso gli Stati Uniti, con un’inflazione galoppante che rende i cittadini svuotati dal potere di acquisto di una moneta che non vale più niente? Semplice: cambiare creditore. Pare essere questa la soluzione scelta dall’Argentina. Infatti, anche se l’ufficialità della decisione verrà annunciata nel corso della riunione plenaria che si terrà ad agosto in Sudafrica, Buenos Aires diventerà membro della banca dei Brics, in sostanza passando dal debito americano a quello cinese. Non è un caso che il Ministro dell’Economia argentino Sergio Massa si sia recato recentemente in visita a Pechino per domandare, in previsione di questa scelta, un ulteriore prestito alla Cina comunista che guida con i suoi investimenti la politica economica dei Paesi finora aderenti ai Brics. Con un piede però ancora in due staffe: Massa sta anche rinegoziando il programma di 44 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale con l’obiettivo di ottenere un anticipo piu’ consistente. Ma come avverrà questa entrata nel sistema Brics? Sembra che Buenos Aires intenda pagare il suo ingresso nel Board in titoli di stato che, in questo momento, hanno un valore praticamente solo simbolico, come sanno bene i risparmiatori. L’Argentina andrà così a consolidare il fronte dei Paesi (comprendente gia il vicino Brasile) che puntano a reperire vie alternative ai sistemi di pagamento e di finanziamento di matrice occidentale quali il FMI, la Banca Mondiale e il circuito Swift. Questo disperato tentativo di trovare risorse per evitare un nuovo default rischia però di far cadere il Paese dalla padella alla brace, dove per padella si intende l’indebitamento con gli Usa e per brace la dipendenza finanziaria dalla Cina che svolge il ruolo di protettorato sui Brics. Ormai Pechino, e quanto sta accadendo in Argentina ne è la dimostrazione, sta svolgendo un compito di gestione delle crisi economiche internazionali sostituendo a questo riguardo gli Stati Uniti, venuti in soccorso negli anni ottanta e novanta a vari Paesi dell’America latina, offrendo un’ancora di salvataggio per i grandi debiti accumulati. Peccato che l’alternativa alla de-dollarizzazione si traduca nella trappola del debito cinese. Ma aldilà degli incontri di Massa a Pechino e dell’annuncio della ex Presidente del Brasile Dilma Roussef del prossimo ingresso dell’Argentina nei Brics, un chiaro segnale dei nuovi rapporti tra Buenos Aires e Pechino è venuto nei giorni scorsi dall’appoggio della Cina alle pretese argentine sulle Falklands – Malvinas. L’Ambasciatore cinese alle Nazioni Unite Geng Shuang ha infatti appoggiato le rivendicazioni di Buenos Aires su queste isole invitando “I Paesi ad abbandonare il pensiero coloniale” e avvertendo delle gravi possibili conseguenze e implicazioni per l’ordine internazionale. Un chiaro avvertimi alla Gran Bretagna da tempo alla ricerca di una soluzione nei negoziati sulle Isole. Come è noto l’Argentina sostiene che le isole Falklands, che distano circa 600 chilometri dalla sua costa nell’Atlantico meridionale, siano state conquistate illegalmente dalla Gran Bretagna che invece si appella a rivendicazioni territoriali addirittura del 1765. L’ anno scorso il segretario argentino per gli affari delle Falklands Guillermo Carmona aveva dichiarato che il Paese sudamericano intendeva approfittare del nuovo clima geopolitico, compresa la guerra in Ucraina, per rafforzare il sostegno internazionale alla rivendicazione sulle Isole. Guarda caso con l’ingresso di Buenos Aires nei Brics si è sostanziato l’appoggio non indifferente della Cina.