Negli ultimi anni, di tanto in tanto e con la scarsissima risonanza tipica di uno stato impregnato di mentalità mafiosa, quale l’Italia indubbiamente è, si è parlato del reato di Apologia della Mafia. E’ stata anche presentata una proposta di legge, mai divenuta tale.
“Mai divenuta tale” è un’affermazione che mi sento in dovere di approfondire, perché potrebbe indurre a pensare che tale proposta sia stata discussa, ci siano stati emendamenti, sia stata messa in votazione. Niente di tutto ciò, è rimasta lì e fine della fiera. Fiera che non si è verificata, ovviamente; ne abbiamo sentito parlare nelle radio, nei talk show, al bar? Non credo proprio.
L’italiano, così come il politico italiano, non parla della mafia, la cita. Alcuni la spolverano alla bisogna, altri formano comitati di sindaci, operatori, allenatori contro le mafie, perché fa bello, fa passerella. Molti la usano per trovarsi una collocazione sociale, per auto-proclamarsi prodi scudieri della democrazia, della Costituzione e della libertà.
Questo accade anche in molte associazioni del “panorama antimafia”, da Libera ad Agende Rosse dove, accanto al serio lavoro (solitamente svolto dietro alle quinte) di solitari studiosi e investigatori del fenomeno malavitoso, spiccano personaggi dalla mediocre preparazione, a cui piace molto ascoltarsi, che adorano la propria voce, ma ignorano quelle che meriterebbero di essere ascoltate.
Questi prodi non hanno ben chiaro l’obiettivo, la missione delle associazioni che hanno fondato o di cui sono membri di spicco: diffondere la cultura della legalità. Imperativo in un Paese a cui, nei fatti, la mafia piace. Non fate quelle smorfie, è la verità.
Quando vivevo a Edimburgo, ricordo che mi infuriai moltissimo quando realizzai che una delle principali catene di distribuzione britanniche di pizze surgelate si chiamava “Goodfella’s” e, sulle confezioni lo slogan recitava: “Made with Respect”. Vomitai tutta la mia indignazione in un post sui social.
Il giorno successivo un’amica scozzese mi domandò il motivo di tutta quella rabbia e, ascoltata la dettagliata spiegazione, mi riferì che era la prima volta che vedeva un italiano scaldarsi e disprezzare così tanto il fenomeno mafioso. Dovetti convenire con lei che, soprattutto nelle discussioni più animate, non erano rari i casi in cui gli italiani tentassero di intimorire il locals di turno con minacce e allusioni alla malavita italiana.
Se dovessimo escludere la stragrande maggioranza delle forze dell’ordine (più noti come sbirri, bastardi, sgherri, porci etc) e della magistratura, dobbiamo convenire che gli italiani che davvero provano disgusto per le mafie, e traducono questo disgusto in un effettivo scopo di vita, sono pochi. Anzi poche, dal momento che l’opposizione più passionaria la stiamo facendo noi donne. Non fate di nuovo quelle smorfie, perché vi prendo a pedate.
Non mi resta che comunicarvi la scoperta dell’acqua calda: la mafia vi piace, fa figo. La malavita organizzata di stampo mafioso è talmente cool che ne facciamo gadget e abbigliamento, meme e poster, per non parlare di film, canzoni e serie tv.
Se escludiamo le produzioni straniere, di cui l’indiscusso re è rappresentato da quella porcata de Il Padrino di Coppola (un film in cui la famiglia mafiosa è rappresentata come emblema dei grandi valori di amore, unione e rispetto), possiamo con facilità comprendere su quali opere ricade il consenso degli italiani.
Ho trascorso la giornata comparando resoconti audience e paragonando incassi di botteghino, per arrivare a comunicarvi che tra le fiction le più amate dagli italiani sono, in ordine decrescente, La Piovra, Il Capo dei Capi, Romanzo Criminale, Squadra Antimafia e Gomorra, seguita da L’Onore e il Rispetto. Possiamo notare da soli che Squadra Antimafia è l’unica a non muoversi dall’ottica del malavitoso; duole comunque riportare che il personaggio ritenuto più affascinante è Rosy Abate, non un poliziotto.
Con immenso imbarazzo riporto che, dal punto di vista cinematografico, se sommiamo il totale degli incassi dei film I Cento Passi e La Mafia Uccide Solo d’Estate, non si raggiungono quelli de Un Boss in Salotto.
Il panorama musicale è anche peggio: abbiamo un’interrogazione parlamentare per Rosa Chemical a Sanremo e non per la vasta produzione di canzoni pro-ndrangheta della giovane cantante popolare Teresa Merante (ma si sa: meglio morto che frocio), piuttosto che i vari brani trap che incitano il crimine e l’odio verso le forze di polizia, il cui apice può rappresentarlo la canzone dei NEO13 Rocco Morabito, dedicata appunto al boss ndranghetista.
Su questo fronte non restano indietro nemmeno artisti più conosciuti e popolari; sono infatti J-AX e l’amico Fedez, ampiamente in voga anche tra i giovanissimi, a deliziarci nel pezzo Senza Pagare, con frasi come “usciamo senza pagare ma alla fine nessuno ci toccherà, come il CRIMINE, senza regole…”.
Ci lamentiamo delle tasse alte, della mancanza di risorse, della mancanza di servizi, delle strade rotte, dei cantieri infiniti, dei ponti che crollano, degli ospedali che non esistono, dell’inquinamento, della prostituzione, del traffico di minori e esseri umani, dei rifiuti tossici, del nepotismo, del sistema clientelare, del politico corrotto e di tutta quella serie di cose che avvengono per mano della mafia, o che non avvengono per colpa di tutto ciò che il crimine organizzato ci sottrae quotidianamente.
Vorrei essere confutata. Concedo il beneficio del dubbio agli italiani, lanciando una proposta. Facciamo un bel referendum propositivo per istituire il reato di Apologia della Mafia. Questa è una legge che deve essere voluta e ritenuta fondamentale per gli italiani. Questa volta uno vale davvero uno.
Se il referendum dovesse dare esito negativo io, e qualche altro, ne trarremo duplice vantaggio: non sentiremo più le lamentele qui sopra descritte, perché evidentemente sono aria alla cavità orale e, soprattutto, andremo a dormire sereni, finalmente consapevoli di non essere più un a vergogna e una fastidiosa voce infamante il nostro così bel Paese. BOOM.
1 commento
Molto bello, grazie.