di Fabrizio Montanari
“A colui che già appartenente all’esercito dei moderati, gettò fra il popolo il germe del nuovo entusiasmo e diede agli sfruttati un eroe”.
Questa frase conclusiva del discorso di commiato pronunciato da Vergnanini in morte del padre di Camillo Prampolini, il 10 febbraio 1893, testimonia l’affetto, se non la venerazione, che l’uomo provò sempre per il suo maestro.
Nell’entourage di Camillo Prampolini, fu il personaggio che più si distinse per le innate doti d’organizzatore sindacale, di costruttore di cooperative, e come fautore di importanti opere pubbliche, necessarie allo sviluppo economico, sociale e culturale della città. Per tutto ciò che seppe realizzare potrebbe, dunque, essere definito “L’uomo del fare”.
Nato a Reggio Emilia il 16-05-1861 da una agiata famiglia di esercenti, caduta in difficoltà economiche per la chiusura dell’attività, dimostrò sempre di possedere una personalità poliedrica. Dopo aver abbandonato gli studi universitari, studiò ingegneria a Torino e lettere a Bologna, abbracciò la causa socialista, folgorato dalla “predicazione” di Prampolini. Fu cooperatore, giornalista, autore di testi teatrali e poeta. Collaborò come redattore a Lo Scamiciato, voce del popolo e successivamente a La Giustizia. Eletto delegato al Congresso di Genova del 1892 (per la Coop braccianti di Cavriago, la Coop consumo di Massenzatico e la Società operai di Sabbione), l’anno successivo venne chiamato alla presidenza di quello di Reggio.
Fu tra i promotori nel 1894 de Il Punto nero, primo quotidiano socialista italiano diretto da Olindo Malagodi, padre di Giovanni, futuro segretario nazionale del PLI. Non negò le sue riflessioni anche ai fogli reggiani La Mosca e L’orizzonte. Caduto in disgrazia a causa della repressione crispina e alla condanna al domicilio coatto, nel 1894 riparò in Svizzera, dove diresse L’avvenire del lavoratore, “L’Unione socialista di lingua italiana” di Lugano e l’ufficio di emigrazione di Berna.
Nell’autunno 1901, potendo contare sulla maggiore tolleranza del governo Giolitti, tornò nella sua città per assumere la segreteria della neonata Camera del Lavoro, subentrando ad Arturo Bellelli.
La maggiore preoccupazione di Vergnanini fu quella di rafforzare la triplice alleanza del lavoro fondata sulla resistenza, la cooperazione e la previdenza. Da allora in poi si impegnò in molte importanti realizzazioni, tutte indirizzate ad elevare la vita dei lavoratori e rendere Reggio più moderna e vivibile.
Nel 1902, con l’aiuto logistico e finanziario dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco socialista, il pittore Gaetano Chierici, nacque “L’Università popolare”, nel 1908 propose la ristrutturazione del Teatro comunale per ricavare un numero maggiore di posti per il popolo e infine sostenne, tra il 1907 e il 1911, l’opera a lui più cara: la ferrovia Reggio-Ciano d’Enza. Una impresa considerata titanica e avveniristica. Il successo fu tale che in occasione della Esposizione Internazionale di Torino una comitiva di lavoratori viaggiò su due vagoni realizzati dalle Officine Reggiane, battezzate rispettivamente Andrea Costa e Rochdale. Al loro arrivo i lavoratori reggiani, artefici della famosa tratta Reggio-Ciano, furono accolti da una folla entusiasta.
Come sindacalista e cooperatore indirizzò le sue energie a sviluppare contemporaneamente l’organizzazione e l’attività della Camera del Lavoro e del movimento cooperativo reggiano, nella convinzione di trovare le soluzioni economiche e organizzative più efficaci ad unire produttori e consumatori nella lotta alla speculazione borghese. Era convinto, infatti, che la cooperativa di consumo dovesse svolgere un ruolo centrale nella lotta per il socialismo, diventando l’asse portante tra produttori e consumatori per fare a meno del mercato borghese. Su questo tema incentrò il suo intervento anche al VII Congresso Internazionale dell’Alleanza Cooperativa che si svolse a Cremona nel 1907.
All’undicesimo Congresso del PSI, svolto a Milano nel 1910 presentò addirittura una relazione su “Cooperazione e socialismo”, nella quale sostenne il progetto della “cooperazione integrale”, da lui considerata una formidabile “arma di conquista e di redenzione per le forze lavoratrici”.
Per Vergnanini “la principale contrapposizione di interessi, nel regime capitalistico, è fra produttori e consumatori… Sottraendo quindi i consumatori, mediante la cooperazione di consumo, al ciclo capitalista, si priva il capitale di una buona parte del suo plus-valore, che va invece nelle casse delle cooperative”. Sostenne che la cooperazione non fosse un mezzo per giungere ad un fine, ma il fine stesso, poiché il socialismo non era altro che una “generalizzazione della cooperazione”.
La realizzazione di quanto da lui auspicato apparve da subito complicata, anche se in alcune realtà, anche nel reggiano, qualche tentativo ebbe una discreta, anche se breve, fortuna.
Convinto neutralista durante la prima guerra mondiale, si adoperò ad attutire i disagi del popolo, imprimendo una forte spinta allo spirito solidaristico tra cooperative e tra queste e il resto dei lavoratori. Come segretario della Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, carica alla quale fu chiamato fin dal 1912, in sintonia con Turati e Prampolini, esercitò una forte pressione affinché il governo attuasse una politica economica sufficiente a garantire un adeguato vettovagliamento alla popolazione prostrata dalla guerra. Nel 1921 entrò infine nel CDA dell’Istituto Nazionale di credito alla cooperazione.
Con l’ascesa del fascismo e la distruzione di tutte le organizzazioni operaie, cercò in tutti i modi e per quanto possibile di salvare la realtà cooperativa, già molto diffusa in ogni regione d’Italia. Tutto però fu inutile. Anche le assicurazioni a lui fornite da Mussolini furono presto disattese, tanto che nel 1925 la Lega delle cooperative fu chiusa definitivamente.
Inserito nella lista dei sovversivi, Vergnanini si spense a Roma l’undici aprile del 1934.