di Salvatore Sechi.
Nell’intervista di Giuliani Amato (temo imperfettamente cucinata sulle pagine di un quotidiano sempre attestato su trincee da rissoso protagonista politico nemico dell’informazione) c’era la confessione di un’impotenza e la volontà di denunciarla che non mi pare si sia voluta cogliere.
Un ex presidente del Consiglio e della Corte costituzionale non può prendere di petto le sentenze passate in giudicato e farne oggetto di una critica frontale.
Amato non può essere accusato di comportamenti così licenziosi e anche puerili.
I temi affrontati nell’intervista come nelle conferenze stampa successive vertono su un fenomeno macroscopico: l’incapacità della magistratura di venire a capo di grandi processi. Da quello di Ustica al caso Moro, dalla strage di Bologna a molti di mafia.
Tutti si sono chiusi come processi indiziari in cui mancava la “pistola fumante”, cioè la prova o l’insieme degli elementi probatori che giustificano l’emissione di pene e sanzioni.
I processi di Ustica e di Bologna hanno ormai una longevità di 40 anni. La stessa età hanno i percorsi temporali per l’arresto di capimafia come Riina, Provenzano, Messina Denaro ecc. Questi tempi lunghi dell’amministrazione della giustizia segnalano un problema preci so, cioè che in Italia non esiste lo Stato di diritto. Esso è una finzione.
Dopo tanti decenni in primopiano viene il ruolo dello storico. Il magistrato dovrebbe rifiutarsi, in nome di una concezione del diritto proba e non prava, di spacciare per ricerca della verità quel che dopo tanto tempo non può essere giuridicamente accertato.
Quando si tenta di farla, com’è avvenuto di recente, con la strage del 2 agosto 1980 a Bologna, l’opinione pubblica resta muta, pervasa non da un sentimento di gratitudine verso i giudici, ma di stupore e incredulità.
Il distacco tra la gente e le toghe è diventato incolmabile. In questo vuoto un Signor Nessuno, inventato da una stampa mediocre e servile come quella, non di rado, dell’Emilia Romagna, puòinsultare uno studioso del livello di Giacomo Pacini, senza che la fabbrichetta della carta stampata abbia un moto di ripulsa, di coraggio per reagire.
Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha enunciato lo stato comatoso della nostra giustizia nell’accettare il secondo mandato al Quirinale, ma purtroppo la radicale riforma del funzionamento dell’amministrazione giudiziaria non ha fatto un passo. Tutto ristagna nella morta gora delle resistenze molteplici al cambiamento.
Di fronte a questo stato di fatto, Giuliano Amato ha giocato l’ultima carta che aveva a disposizione. Di qui l’invito dolente, colmo di eterodossia di ripetere cose dette decine di anni fa. Un’ accorata, pressante preghiera laica ai protagonisti, militari e no, sopravvissuti alla tragedia di Ustica di decidersi a parlare.
La sua raccomandazione è rivolta alla coscienza, al senso del dovere e dell’onore di ognuno di essi. Ha posto un grande problema etico, di responsabilità collettive e non un garbuglio da ristorante romano della politica.
La retorica del sovranismo non c’entra un bel niente. Chi può prendere sul serio e dare credibilità ad uno sfasciacarrozze come il ministro Matteo Salvini? Da oltre il 30% di consensi ha fatto precipitare la Lega a circa il 9%. Con impudenza e insolenza ogni giorno annuncia e promette riforme tipiche di chi, come i sardi dicevano una volta delle mogli, parla perché ha la lingua in bocca.
Ha cantato le gesta funeste di Berlusconi e di Putin, fa sfoggio infinito e altezzoso della sua incompetenza blaterando di tutto.
Il cruccio di uno statista come Amato è diverso da quello di un bon a tout faire come il segretario della Lega. Intende rafforzare le ragioni della Nato rispetto a quelle di una statolatria criminale come quella di Putin, chiedendo di non subire il passato, di liberarlo finalmente da ogni nebbia e doppiezza.
Francia e Stati Uniti hanno abbattuto il DC9 italiano per errore, mentre puntava a colpire un aereo con a bordo il col. Gheddafi. Allora bisogna dire che hanno mentito, bisogna confessarlo apertamente e chiedere scusa all’Italia e ai parenti delle vittime. Diversamente si alimenta il sospetto che nelle alte sfere delle nostre alleanze si predica bene, ma si razzola male, cioè nel fango delle omissioni, dei pretesti fino alle menzogne più macroscopiche.
Ustica potrebbe non essere stata un’eccezione. E se si scoprisse domani che Washington, Parigi, Londra e Berlino, compresa Roma, hanno affidato ai pochi e poveri ucraini il mandato epocale e avventuristico di muovere guerra alla Russia, umiliarne le forze armate e i servizi di sicurezza e in questo modo farla finita con un killer di stato come Putin?
Un leader liberalsocialista come Giuliano Amato ha voluto dirci che la politica della doppia verità nell’amministrazione della giustizia e della doppia lealtà nei confronti degli alleati è un grave pregiudizio e un errore. Più di così. che cosa avrebbe dovuto fare?