E quindi se n’è cominciato a parlare. Da più parti, nel centrodestra, si sente annunciare di riforma da fare con il contributo di tutti e in tal senso, la Meloni, sta avviando un giro di consultazioni tra tutte le forze politiche, che si concluderà con l’incontro con la Schlein, per arrivare a una quadra,
Di cosa? chiederete voi.
Ma ovvio, della riforma costituzionale per l’introduzione del presidenzialismo.
Cosa si intenda per ciò non è dato saperlo. Se provaste a chiederlo a ciascuno dei politici che maggiormente si sbracciano non saprebbero rispondervi.
Perché uno stato presidenziale significa tutto e non significa nulla. Non staremo qui a impartire lezioni di diritto costizionale comparato ma non credo che vi sfugga che tra presidenzialismo all’americana, un semi-presidenzialismo alla francese, un premierato o un cancellierato, o il sindaco di Italia, ci sono diversità profonde e che soprattutto non è solo una questione di semantica ma di radicali distinzioni, in termini di ingegneria costituzionale, dei rapporti tra organo che governa e organo che legifera ovvero il parlamento, della figura e del ruolo del Presidente della Repubblica, del processo di formazione delle leggi, delle competenze, dei controlli dei pesi e dei contrappesi.
Insomma un gran casino.
E il bello è che, a partire dalla prima inquilina di Palzzo Chigi all’ultimo dei suoi avversari, non hanno affatto le idee chiare. Magari si sa che a destra aborrono il doppio turno mentre a sinistra aborrono il proporzionale. Per il resto, la nebbia di Milano.
In realtà se proprio si volesse introdurre in Italia qualcosa di maggioritario, che funzioni in maniera efficace, sarebbe davvero il caso di lasciare a una consultazione maggioritaria la scelta del premier e assegnare al metodo proprozionale la formazione delle camere, abolendo quell’autentico obbrobrio del sistema misto con il quale una parte di una camera viene eletta in maniera maggioritaria e un’altra parte in maniera proporzionale.
Un simile scempio della scienza elettorale è figlio solo di qualche megalomane che voleva a tutti i costi seguire la moda del sistema maggioritario.
Ma il problema vero non è come eleggere, ma quali poteri dare a chi governa?
Esigenze di stabilità politica e governabilità dicono in diversi.
Io ricordo solo una cosa: che per cinquant’anni in Italia, con la prima repubblica, ci sono stati sempre e soltanto 8 partiti: DC,PCI,PSI,PSDI,PLI,PRI,PSIUP (poi divenuto DP),MSI. Si candidavano in 8, sulle schede c’erano solo 8 simboli e in parlamento si creavano solo 8 gruppi parlamentari. Di deputati o senatori, che il giorno dopo la elezione passavano da un partito all’altro o che si staccavano a gruppetti per fondare partiti nuovi, non se ne vedeva l’ombra. Anzi, all’epoca, non solo era un atto di infamia, che ti dannava per tutta la vita, cambiare partito ma lo era addirittura il semplice cambio di corrente. Nonostante ci fossero maggioranze oceaniche di cambiare la legge elettorale o la costituzione non se ne parlava, non c’erano soglie di sbarramento perché l’accesso alla elezione in parlamento doveva essere garantita a tutti e ogni partito si vedeva assegnare un numero di seggi in maniera del tutto proporzionale al numero di voti che prendeva. Non c’erano i premi di maggioranza e soprattutto i parlamentari dovevano essere eletti con il voto di preferenza andandoselo a sudare in campagna elettorale zolla di terra per zolla di terra in ogni singola contrada.
Forse all’epoca ci saranno stati anche i governi balneari ma certamente c’era una grande stabilità del quadro politico.
Non certo quel gran casino che c’è oggi con un via vai di senatori e deputati, partiti che nascono come funghi dopo un semplice acquazzone e governi che non durano mai una intera legislatura..
Altro che stabilità.
Non tutti i mali vengono, però, per nuocere.
Visto che ormai hanno deciso che alla costitituzione si deve rimettere mano che mostrino uno scatto d’orgoglio e di saggezza e venga ripristinata nuovamente la intera agibilità parlamentare abolendo la riforma dei 5stelle che ne riducevano il numero dei componenti.
Sommata a una scelta di un sistema elettorale di tipo proporzionale puro e il ripristino delle preferenze sarebbe una riforma di civiltà democratica e pluralista assoluta.
2 commenti
Mi sentirei innanzitutto di dire che il paragone con la Prima Repubblica appare oggi abbastanza improponibile, perché la politica era allora piuttosto forte, tanto che, salvo miei errori di memoria, la figura del Primo Ministro era quella preminente nel panorama istituzionale – quale guida del Paese, ossia titolare di una carica importantissima – mentre in seguito, nell’immaginario collettivo, ha “ceduto il passo” al Capo dello Stato (questa è perlomeno l’impressione di molti nel comune sentire).
Del resto anche il PSI degli anni Ottanta aveva avvertito che qualcosa stava cambiando, al punto da concepire l’idea di una Grande Riforma, cui non era verosimilmente estranea l’ipotesi del Presidenzialismo, o comunque di un rafforzamento dei “poteri” in capo al Primo Ministro, ossia una strada che cercò poi di percorrere il centrodestra con la propria Riforma Costituzionale che non superò tuttavia la prova referendaria del 2006, ma che, volendo, potrebbe rappresentare .un odierno punto di partenza.
La forza della politica all’epoca della Prima Repubblica è comprovata dal fatto che, come opportunamente ci ricorda il Vice Direttore, erano rarissimi i casi di “deputati o senatori, che il giorno dopo la elezione passavano da un partito all’altro o che si staccavano a gruppetti per fondare nuovi partiti nuovi”, un costume che a me pare oggi rimediabile o frenabile soltanto con la possibilità, nelle mani del Primo Ministro, di sciogliere le Camere, ossia lo strumento previsto da quella Riforma del centrodestra.
Così come il meccanismo della “sfiducia costruttiva”, contenuto sempre in quel provvedimento di quasi ormai vent’anni fa, avrebbe dato stabilità all’Esecutivo, nel senso che nell’affrontare oggigiorno il discorso di una Riforma Costituzionale non si dovrebbe partire giocoforza da zero, ma riprendere casomai quel filo conduttore, apportandovi integrazioni, modifiche, rimodulazioni, e quant’altro può servire per migliorare il testo, e per renderlo quanto più possibile condiviso tra le formazioni politiche.
Mi sembrerebbe andare in tale direzione pure la formula del “lasciare a una consultazione maggioritaria la scelta del premier e assegnare al metodo proporzionale la formazione delle camere”, come qui leggiamo, che mette insieme governabilità, rappresentanza e contrappesi, ma io preferirei quella del candidato premier sostenuto da una o più liste elette col proporzionale, coi voti distribuiti all’interno della coalizione per le liste che non raggiungessero la soglia utile ad avere un proprio rappresentante.
Paolo Bolognesi 09.05.2023
Proporzionale e preferenze.. solo così sarebbe un ritorno al vero voto. La cosa più semplice e giusta da fare, ma lo capiranno mai i “politici” di oggi?.. E in caso la vorrebbero?.. Voglio continuare a sperare di sì. Grazie dott. Carugno!