Quel che siamo è nella storia. Essa stessa lo dice, lo sancisce.
“Non lasciare che la tua storia narri di te; fa sì che appartenga a chi avrai”, dice il protagonista nel romanzo “La Foglia d’Autunno“, perché la storia non è una semplice raccolta di pagine nelle quali sono elencati fatti e avvenimenti. La storia “È” il protagonista a cui appartiene, ne rappresenta l’essenza, il codice genetico.
La storia non si tradisce, non si può tradire. Gli appartiene, l’appartiene.
E la storia di quella affascinante vicenda dell’umanità chiamata “socialismo” non si è mai identificata esclusivamente con il marxismo e i suoi figli.
È nata prima, con Saint-Simon, Fourier, Owen e passa per gli eventi che presero le mosse dal 14 luglio 1789.
E nel secolo successivo ebbe tanti protagonisti Proudhon, Bakunin, Bernstein, ognuno dei quali ne ha teorizzato una interpretazione diversa, e naturalmente Karl Marx con il suo “socialismo scientifico”, con il Capitale e con il Manifesto del Partito Comunista.
Sono tutte genie che si sentono di appartenere a una unica grande famiglia ma non senza che, sin da allora, venissero marcate profonde differenze e distanze ancorché restino, per diversi anni, latenti. Diversità e contraddizioni che esplodono agli inizi del nuovo secolo e che sono figlie della rivoluzione bolscevica che non si astiene di lasciare il suo segno anche nel socialismo italiano: un solco profondo e divaricante dal quale nasce però la più affascinante delle vicende politiche: il socialismo riformista.
Turati, il 1921 e Livorno; e poi Turati e Treves nel 1923 e l’addio ai massimalisti; Matteotti e le lettere ai dirigenti del PCI: i fratelli Rosselli e il socialismo liberale; Pertini e Gramsci in carcere; Saragat e la scissione di Palazzo Barberini; la svolta di Nenni del 1978; Craxi e Proudhon; Craxi e la socialdemocrazia europea con Gonzales, Soares e Mitterand; e poi il 1994 e la mano oscura del PCI.
Tutta la vicenda del riformismo socialista, la nostra storia, è una marcata presa di distanza dal comunismo.
Una distanza che non è mai perita e che è sempre sopravvissuta anche a significativi passaggi della storia nei quali ci furono momenti di apparente omologazione dettati dagli eventi.
Successe durante la resistenza, una fase nella quale sotto il cappotto dell’antifascismo si pensò che tutto diventasse una unica grande famiglia.
È successo e sta succedendo oggi sotto il regime del bipolarismo nel quale nei poli si tende a omologare tutto. E di conseguenza a sinistra, in una unica sinistra, autorizzando addirittura qualcuno a pensare che dovesse essere realizzato un partito unico.
Il bipolarismo è una brutta bestia perché tende a massificare, ad annullare le diversità e a cancellare le identità.
Non è, e non può essere così.
Il PCI di allora non c’è più ma l’anima della cultura comunista sopravvive nel PD, e non solo tra loro, e continua a proliferare.
Il riformismo socialista con Fratoianni, con D’Alema, con Bersani e financo con la Schlein c’entra ben poco e c’entra pochissimo anche con quella anima di sinistra degli eredi del pensiero cattolico e popolare. C’entra ancora meno con i parvenu della sinistra con i 5Stelle ex Grillini, ora Conticini.
Ci sono parecchi che affermano che la storia socialista è una storia di sinistra.
Dipende da cosa si intende con questo termine.
Le vicende accadute dicono che ci sono più sinistre e quindi una definizione così secca e generica è quantomeno impropria.
Diciamo che il socialismo italiano non è mai stato di sinistra-sinistra, ma di centro-sinistra e con esso quello europeo. Si chiama socialdemocrazia, in alcune forme socialismo liberale entrambe figlie del riformismo.
Ecco, questa deve essere la mission della grande assemblea di domani.
A Roma per stringere un patto per il recupero dei valori del riformismo. Un patto per proteggere soprattutto l’identità del socialismo democratico. Un patto con la storia.
Per non tradirla.
1 commento
Forza e coraggio, siate all’altezza della storia, riscattiamo il 1994|