Di Aldo Repeti – Segretario Regionale PSI Toscana
Nel nostro Paese da decenni siamo vittime di un clima di faziosità che affonda le radici, in ultimo, in una affermazione spuria del valore culturale della “diversità morale”. Non è e non può essere in discussione la libertà di chiunque, anche di un generale dell’esercito, di esprimere pensieri ed opinioni personali ancorché sconvenienti per l’immaginario collettivo.
La stessa giurisprudenza nel tempo, rivolta all’ambito militare, si è espressa su quelli che sono i limiti dell’applicazione dell’articolo 21 della Costituzione per gli appartenenti ai ranghi militari. E, palesemente, il contenuto del libro, va detto, non rientra nell’applicazione di questi limiti.
Basta ipocrisie e basta superficialità!! Soffermarci su una questione di metodo (giusto o sbagliato che si esprima?) annichilisce il necessario confronto sul merito ed anzi, confondendo il piano, finisce per legittimare proprio il merito che si vuol contestare.
Ciò premesso, entriamo nel merito.
Se non è in discussione, e non deve esserlo, la “libertà di espressione”, ciò che deve interrogare è il perché un generale, affaccendato in ben altri compiti e ruoli, avverta il bisogno di esprimere opinioni di merito e scrivere un libro su questioni che non incidono con il proprio ruolo.
In sostanza, nel merito, il rilievo del suo pensiero è equivalente in tutto e per tutto a quello che può esprimere un farmacista, una casalinga, un agricoltore e quant’altri. Con la stessa libertà ed identico rispetto.
La diversità, oggi ed ora, sta che il circolo mediatico enfatizzato gli garantisce un mercato di rispetto nelle vendite del suo libro, che il farmacista, la casalinga e l’agricoltore, ed altri non avrebbero!
Sorge un dubbio: il merito di quello che afferma, veramente non incide col proprio ruolo? Egli è generale di esercito, decorato, ha partecipato a missioni importanti conseguendo rilevanti risultati sul piano militare. Ha guidato gruppi di uomini con autorevolezza e carisma (altrimenti non avrebbe tale grado!). Cosa lo porta ad esprimersi in modo palese contro “una variante non patologica dell’orientamento sessuale” e ritenersi in dovere di esprimere una opinione su argomenti disparati che non hanno esplicita attinenza con l’attività che svolge e solo per la quale ha maturato autorevolezza?
Implica un recóndito giustificazionismo verso atteggiamenti discriminatori perpetrati in ambito militare? Implica un voler affermare una diversità di approccio e dedizione verso l’impegno militare di chi ha “una variante non patologica dell’orientamento sessuale”? Su questo credo sarebbe necessario approfondire. Ovvero se il ligio militarismo che si vuol affermare presupponga una impossibilità all’esercizio, una sorta di preclusione, per certe attività a chi ha orientamenti sessuali “deviati”.
Non può spaventare un vero democratico il fatto che vi sia chi la pensa in modo diverso e talvolta anche in modo spregievole. È la democrazia!
La sostanza risiede sulla capacità di stare nel merito e confutare le tesi che sostiene.
Nel suo libro al capitolo IX interamente dedicato Al “pianeta lgbtql” egli sostiene che la “normalità, per definizione, rappresenta quella condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o fuori dall’ordinario e dalla consuetudine.” Continua asserendo: “Molto interessante far notare che l’omosessualità è universalmente riconosciuta come “variante non patologica dell’orientamento sessuale” e quindi, come tale, e come il masochismo, non può rientrare nella normalità anche tenuto conto delle percentuali estremamente minoritarie dei suoi adepti. Per anomalia si intende infatti “una deviazione dalla norma” e la variante si definisce come “una differenza rispetto al tipo o alla media o alla norma“…
Ecco il piano culturale da sconfiggere e su cui soffermarci anziché blaterare di diritto ad esprimersi o meno!
La definizione di normalità è ovvia. Ma vi è un corretto riferimento al fatto che sia normale ciò che non è ” eccezionale…o fuori dall’ordinario e dalla consuetudine“.
Giustappunto la consuetudine!
Erano “consuetudine” nelle varie epoche o civiltà, in ordine sparso: lo schiavismo, la bigamia, la circoncisione, il razzismo, la supremazia ariana, uccidere i bambini deformi, l’inferiorità femminile rispetto al maschio, l’Inquisizione, far indossare il burqa alle donne, ecc.ecc.. Quindi, per logica conseguenza, essendo comportamenti o atteggiamenti non “fuori dall’ordinario e dalla consuetudine”, essere razzisti, uccidere i bimbi deformi, vietare il voto alle donne, ecc, devono essere considerati “normali”. Quindi si afferma un concetto di normalità che rimane statico nel tempo e non tiene conto dell’evoluzione dell’uomo quale essere pensante.
L’evoluzione porta a modificare le consuetudini e l’ordinario in virtù della crescita culturale dell’uomo. Ammesso e non concesso che si ritenga invece che l’uomo, quale specie, debba essere confinato al suo stato animalesco!
Curioso poi, nell’ incedere delle sue elucubrazioni, quanto afferma circa la non normalità dell’omosessualità rapportata al numero “esiguo di adepti”.
Linguaggio che tradisce il considerare l’omosessualità al pari di una setta religiosa con tanto di adepti.
Ma è il concetto di “esiguità” che lascia interdetti! Come a voler affermare che la normalità è una condizione imposta da una maggioranza ad una minoranza. Qui forse tradisce la propria cultura militare!
In un paese democratico, di cui lui come generale deve farsi istituzionalmente interprete integerrimo, le minoranze sono tutelate e non discriminate!
Nel sostenere come fa nel suo libro che “In Italia l’ultima ricerca ISTAT sul tema (dell’omosessualità) risale al 2011 dalla quale si evince che solo un milione di persone si è dichiarato omosessuale o bisessuale. Rapportato alla popolazione italiana sopra i 16 anni di età si tratterebbe pertanto di un misero 2%. ” non solo dimentica il principio della tutela delle minoranze ma addirittura dimentica che ancora oggi in Italia sono meno della realtà quelli che dichiarano la propria omosessualità o tendenza sessuale proprio in virtù delle discriminazioni e dei pregiudizi che ancora albergano intorno a questo tema.
Sempre in termini quantitativi erano maggioranza gli schiavisti, gli spartani che uccidevano i bambini deformi ecc.. Quindi che queste minoranze non avevano e non hanno diritto di voce? Dobbiamo immaginare che normalità statica e quantità siano i parametri della democrazia?
Beh occorre dire al generale che era consuetudine non avere libertà di espressione e di opinione sotto il fascismo. Quella, allora, era la normalità. Ma se oggi questo generale, al pari di tutti i cittadini (senza distinzione di idee, sesso, religione) ha la libertà di pensare, esprimere e scrivere queste minchiate è proprio grazie a quelle minoranze di uomini e donne che si sono sacrificati col sangue e sono arrivati a scrivere una Costituzione antifascista che riconosce anche a lui il diritto di esprimersi e di scrivere ciò che vuole. Occorre tenerlo sempre presente quando si pensa di circoscrivere i concetti di normalità secondo precetti personalissimi e contingenti e si pretende di disconoscere, quindi automaticamente di discriminare, le minoranze in quanto “esigue”.
Ci sono altri aspetti di questo libro che meritano approfondimenti ed analoghe analisi critiche.
Rimane un dubbio: perché un generale decide di ergersi a “filosofo de noantri’ disquisendo sullo scibile umano sfruttando il proprio ruolo istituzionale non legittimato da un libero voto?
Su questo proviamo a ragionare per sconfiggere l’ignoranza culturale che alberga questi soggetti e non già sull’obiettivo di distruggere il nemico!
Un consiglio per certa sinistra ancora avvolta nel ribellismo adolescenziale. I diritti sono una cosa seria, l’errore da non commettere è quello di brandirli come una clava, attraverso vuoti e stereotipati slogan, contro chi non li condivide. Si rimarrebbe ad imporre una logica di “giusto” pensiero unico, svilendo il merito di ciò che si vuol sostenere ed anzi alimentandone proprio l’avversione.
Ci troveremmo nella negazione del principio di libera espressione che invece sosteniamo di tutelare!
Diceva un grande socialista: “Dico al mio avversario: io combatto la tua idea che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi al prezzo della mia vita perché tu la tua idea la possa esprimere sempre liberamente.”
Stiamo al merito altrimenti, per questioni di metodo, ci sfugge la sostanza e ci troviamo gli “spartani” alle porte! Combattiamo queste idee non la libertà di esprimerle!
2 commenti
Sembrerebbe dunque, stando a queste righe ma non solo, che il Generale non avesse particolari limiti o divieti imposti dal ruolo e dalla funzione, quanto al poter manifestare liberamente il proprio pensiero – ma solo, casomai, ragioni di opportunità, il che è ben altra e diversa cosa – e adesso, sciolto quel preliminare e controverso nodo, ci si interroga sui motivi che lo hanno indotto a trattare argomenti divenuti ormai scomodi e “temerari”, avviati molto probabilmente a sollevare dibattito, se non accese discussioni, com’è successo, e qui le ipotesi possono naturalmente moltiplicarsi, pur se fors’anche destinate a rimanere tali, ossia senza risposta.
Io credo che, a questo punto, chi si interessa di politica, in via diretta o anche indiretta, dovrebbe innanzitutto chiedersi se vi sia un segmento di popolazione che si riconosce nelle idee del Generale, e quale possa esserne la dimensione, perché un tale segmento cercherà verosimilmente di trovare comunque rappresentanza, pure a livello politico-istituzionale, il che è altrettanto legittimo di chi la pensa in modo differente ed opposto, e punta ad avere i propri portavoce, rivolgendosi preferibilmente a chi ritiene maggiormente vicino al proprio pensiero, ed è altresì in grado di esprimerlo nella maniera quanto più possibile autentica ed efficace (e pure autorevole).
Passando alle consuetudini, può essere senz’altro vero che più d’una, tra loro, si sia modificata o rimodulata col trascorrere degli anni, ma vi sono nondimeno valori rimasti stabili ed immutati nonostante il passare del tempo, e sono i valori che danno fisionomia ed identità ad un popolo, e che orientano a loro volta le tradizioni e consuetudini, anche se c’è chi non vuole o non riesce ad attenervisi, ma l’importante, a mio avviso, sarebbe che i valori continuassero ad essere un punto di riferimento, o una quasi bussola, pena il rischio di vedere una società disorientata e smarrita (nei valori può esservi una dose di retorica, che tuttavia è forse meglio del “vuoto”).
Io non so quali minoranze intenda Aldo Repeti, quando dice che laddove vige la democrazia vanno tutelate e non discriminate, ma credo che nel Belpaese il problema non si ponga, salvo il voler dedicare una strada a Craxi, perché equivarrebbe al celebrare una messa nera, o il parlare di PSI senza essere insultati e oltraggiati – come troviamo scritto a commento di un altro articolo di questo giornale, sempre in argomento – e convengo comunque sul finale delle presenti righe, ossia “combattiamo queste idee non la libertà di esprimerle”, perché è attraverso il contraddittorio che si può far capire, a chi ci legge o ascolta, che una determinata idea lascia a desiderare
Paolo Bolognesi 25.08.2023
Egregio Paolo Bolognesi, il senso del mio ragionamento voleva essere quello di non limitarci ad una questione di metodo. Perché il problema non risiede tanto sulla libertà del generale di dire ciò che pensa o meno. Mi sembra, peraltro, di aver parlato anche di ruolo quando sostengo che non è l’autorevolezza del proprio ruolo, maturata in quell’ambito specifico, che lo rende autorevole in tutto ciò che esprime! Chiaro che in quel ruolo che svolge si pone una questione dì opportunità nel dire ciò che pensa su tutto. È un militare che rappresenta l’istituzione e non un semplice cittadino!
Il problema, come sostiene anche lei, è che questi pensieri non sono isolati e, a mio avviso, il generale non si è comportato da sprovveduto ma ha un disegno ben preciso in testa. E forse anche supportato da un’area politica precisa! Ma il fatto che non siano isolati a maggior ragione ci fa capire che vanno combattuti nel merito con un contraddittorio che smonta i suoi “principi”. E cuti come valori assoluti.
Per quanto attiene alle minoranze ed alla loro tutela, segnalo che si tratta di un preciso principio costituzionale che, in quanto generale e quindi istituzione che giura fedeltà alla Costituzione, non può appellarsi al principio del libero pensiero nell’esercizio del ruolo!
Legga il suo libro e troverà molte contraddizioni che le faranno comprendere l’ipocrisia della “vittima” Vannacci che tale in realtà non è.
Su Craxi che dire, la storia dovrà ad un certo punto render giustizia all’uomo, allo statista ed alla verità dei fatti!