di Fabrizio Montanari.
Il 28 giugno 1914, l’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria e Ungheria, è vittima a Sarajevo di un mortale attentato. Un mese dopo inizia la Prima guerra mondiale. Gli equilibri sociopolitici europei sono messi in discussione e in pochi mesi tutto cambia. Il 1914 segnerà l’inizio della fine degli Imperi Centrali e dello zarismo, portando, nel volgere di pochi anni, a maturazione i germi della Rivoluzione d’ottobre.
La Seconda Internazionale, riunita a congresso a Bruxelles, celebra il suo ultimo rito unitario, prima che i vari partiti socialisti nazionali, specie quelli di Francia e Germania, scelgano d’appoggiare le scelte dei rispettivi governi, venendo così meno al giuramento, solennemente pronunciato a congresso, di difendere e sviluppare l’internazionalismo proletario e di opporsi a ogni tentazione guerrafondaia. Fa eccezione il solo PSI, che anzi espelle dalle sue fila Benito Mussolini, il direttore dell’Avanti!, reo d’aver abbracciato le tesi dell’interventismo, ponendo così le basi del nascente fascismo e della fine dell’Italia liberale.
La dichiarazione di guerra da parte dell’Austria-Ungheria genera un acceso dibattito sia in Parlamento, che nel paese. L’Italia, pur essendo fin dal 20 maggio 1882 aderente alla Triplice Alleanza, si dichiara neutrale. I maggiori sostenitori di questa posizione sono i socialisti, i giolittiani e una parte dei democratici radicali. In verità molti guardano con crescente simpatia ai paesi dell’Intesa: Francia e Inghilterra. Il fronte interventista è invece più composito, comprendendo liberali, conservatori, repubblicani, sindacalisti rivoluzionari, nazionalisti, irredentisti, associazioni studentesche e mussoliniani. Pur essendo mossi da convinzioni diverse, tutti però intendono partecipare al conflitto a fianco dei paesi dell’Intesa.
Non passa giorno che non si verifichino manifestazioni e scontri in qualche città tra neutralisti e interventisti. Il governo Salandra cerca di barcamenarsi e di difendere la posizione neutralista, ma appare sempre più incerto sul da farsi. Conosce perfettamente la debolezza e l’impreparazione militare italiana e giudica prematuro entrare in un conflitto che, per i paesi coinvolti, si preannuncia mondiale.
La piazza di Reggio Emilia è una delle più determinate ad opporsi all’entrata in guerra. La forte presenza nelle istituzioni e il grande radicamento popolare dei socialisti riformisti costituiscono infatti un argine pressoché insuperabile. I loro dirigenti sono rispettati e stimati da tutti gli aderenti al partito e rispondono ai nomi dell’on. Camillo Prampolini, di Giovanni Zibordi, direttore de La Giustizia e Luigi Roversi, sindaco della città. Da tempo lo schieramento interventista sta lavorando per organizzare una grande manifestazione, capace d’accendere i cuori degli indecisi e sfidare i socialisti in casa loro. L’uomo giusto sembra essere l’irredentista Cesare Battisti, deputato socialista trentino al Parlamento di Vienna, che da qualche tempo gira l’Italia per illustrare la necessità storica di sottrarre la sua terra d’origine al dominio austriaco e legarla finalmente all’Italia. Battisti, tra l’altro, essendo socialista, è l’unico potenzialmente in grado d’aprire delle contraddizioni nel duo fronte, rompendo il granitico blocco neutralista dei suoi compagni di partito.
Il comitato organizzatore della conferenza, guidato dal giornalista liberale Umberto Lari, è composto dalle associazioni “Trento e Trieste”, “Dante Alighieri”, dal Comitato Interventista, dalla lega navale, dai nazionalisti, dai liberali conservatori e dall’Associazione studentesca.
L’appuntamento è fissato per la sera del 25 febbraio 1915 presso il Politeama Ariosto. Nei giorni precedenti si nota in città un insolito fermento. Nei caffè del centro non si parla d’altro e la forza pubblica sorveglia le mosse degli opposti contendenti. I socialisti, in verità, non fanno nulla che possa esacerbare gli animi. Invitano anzi a non ostacolare in alcun modo la conferenza, sostenendo il diritto di tutti d’esprimere la propria opinione.
Il 25 febbraio è una giornata molto fredda, umida, con cumuli di neve ai lati delle strade e della piazza antistante il Politeama Ariosto. Essendo stata negata dal prefetto giolittiano Giulio Rossi l’uso della piazza e dal sindaco quello del teatro Comunale, la conferenza si tiene al chiuso, su invito e a pagamento. Battisti è atteso per le 20,30. Il Teatro Ariosto è presidiato da un reparto di fanteria posizionato in via Monzermone e in Corso Cairoli, uno di cavalleria ai lati dei giardini e da molti Carabinieri Reali davanti all’ingresso del Teatro.
Questo imponente spiegamento di forze si spiega con il fatto che, contrariamente alle direttive dei socialisti, molti giovani si sono dati appuntamento in piazza per impedire la manifestazione. Si è saputo infatti che un volantino di protesta anonimo, ma forse opera di qualche esponente giovanile socialista e di qualche operaio della cooperativa tipografi, è stato diffuso alle Officine meccaniche reggiane. Si tratta di un vero e proprio invito a presentarsi davanti al Teatro e impedire la conferenza:“Compagni lavoratori! Intervenite tutti questa sera alle ore 20 precise dinnanzi al Politeama Ariosto per affermare solennemente la vostra avversione alla guerra. Alla mobilitazione guerrafondaia e antisocialista degli avversari opponiamo la nostra mobilitazione. Abbasso la Guerra! Evviva il Socialismo!”. E così avviene.
Con Prampolini a Roma, spetta al sindaco Roversi, a Zibordi e al segretario provinciale del partito Manlio Bonaccioli cercare di sedare gli animi e riportare la calma. Zibordi improvvisa un comizio. Salito su una panchina dei giardini, nell’intento d’allontanare i dimostranti dall’ingresso del teatro, espone le ragioni dei neutralisti, invitando però i presenti, quasi tutti giovani operai, ad essere tolleranti e rispettosi delle diverse opinioni. Deve anche difendere dal linciaggio un giovane socialista, che solo per essere uno studente è considerato, a torto, un guerrafondaio. Quel giovane, rimasto leggermente ferito, risponde invece al nome di Camillo Berneri ed è uno dei dirigenti provinciali della federazione giovanile socialista più vicini al segretario provinciale Alberto Simonini. Qualche mese dopo abbandonerà i socialisti per aderire alla causa anarchica, diventando uno dei maggiori intellettuali del movimento. Per il momento, pur rappresentando con Simonini l’ala più radicale d’opposizione alla guerra, si mantiene nei limiti dettati dai capi del partito, nella speranza, presto delusa, che la loro posizione risulti vincente e l’Italia non entri in guerra.
Molti dimostranti, al grido di “non un uomo, non un soldo per la guerra”, cercano comunque d’impedire l’accesso al Teatro. Insulti vengono rivolti a chi cerca d’entrare e viene anche tentato lo sfondamento del cordone formato dai carabinieri schierati a difesa dell’ingresso. Poi, improvvisamente, inizia una fitta sassaiola all’indirizzo delle forze dell’ordine e di coloro che si apprestano ad entrare.
Giunti a questo punto i dimostranti vengono sospinti a forza sul lato opposto della piazza, di fronte alla chiesa di San Francesco. La situazione si aggrava di minuto in minuto.
Quando la sassaiola ferisce alcuni carabinieri, vengono suonati tre squilli di tromba e ordinato lo scioglimento della manifestazione. Non ottenendo il risultato sperato, viene aperto il fuoco ad altezza d’uomo. La folla fugge cercando riparo dove può, specie sotto i portici della Trinità. Molti sono colpiti alla schiena durante la fuga e ciò crea sconcerto e paura in città.
Restano feriti diversi giovani e alcuni carabinieri, ma soprattutto si contano due morti: il diciassettenne Mario Baricchi, colpito mortalmente alla testa, e il diciottenne Fermo Angioletti, deceduto il giorno dopo all’ospedale e residente in via Porta Brennone 38. Tra i tanti feriti si ricordano: Enrico Fontanesi di anni 15, muratore; Filippo Ruozzi di 40 anni, muratore; Giacomo Gibertoni, bracciante di 40 anni; Guido Chierici di 15 anni, fattorino; Tommaso Beggi di 15anni; Giuseppe Sacchetti di 18 anni; Primo Salsi di anni 17; Roberto Olivi di anni 32. I più gravi sono portati all’ospedale, dove vengono medicati dai dottori Del Rio, Chiesi, Ferrari e Torreggiani. L’eco dei tumulti giunge anche all’interno del teatro e Battisti, pur non sapendo esattamente quanto sta accadendo in piazza, capisce che la situazione è critica e si affretta a concludere il suo intervento.
Al termine della conferenza, Battisti, che probabilmente gradirebbe confrontarsi con quei giovani, è costretto ad uscire sotto scorta da una porta secondaria. La moglie Ernesta Bittanti Battisti nel suo libro di memorie “Con Cesare Battisti attraverso l’Italia”, pubblicato nel 1938, dopo aver ricordato il dolore provato dal marito per quelle due giovani vite stroncate, scriverà: “L’opposizione neutralista di Reggio apparve, fra quelle manifestazioni nelle altre città italiane, la più nettamente operaia, socialista, idealista, ispirata ai principi dell’Internazionale e della pace”.
Il sindaco e la giunta comunale pubblicano un manifesto nel quale esprimono la loro partecipazione al lutto delle famiglie, ma anche la certezza che i valori della civiltà prevarranno sugli odi e sul sangue. Il 14 marzo 1915 sull’organo nazionale della FIGS L’Avanguardia compare un articolo di Berneri, intitolato “Dopo i fatti di Reggio Emilia”, nel quale il futuro anarchico afferma:“Reggio socialista mite e buona, educata alla scuola di fratellanza e di giustizia di Camillo Prampolini, Reggio la città che fra tutte le città rosse d’Italia è nominata come la città esemplare per la calma, per la tolleranza e la libertà d’opinione, ha ricevuto il triste battesimo del sangue, ha, per la prima volta, segnato nella storia del suo movimento socialista un eccidio. E dei giovani socialisti sono caduti. Erano venuti alla contromanifestazione per gridare tutto il loro sdegno contro la guerra, contro il militarismo che toglie loro tanti compagni di lavoro, di fede, e che sta per lanciarli contro la morte… Noi non dobbiamo sprecare energie, vite, non dobbiamo lasciarci trascinare dal nostro entusiasmo, giovanile, impulsivo e talvolta funesto, noi dobbiamo prepararci a quel giorno in cui come quella sera ci troveremo di nuovo in piazza non per un sacrificio e una ribellione inutile quanto luttuosa, ma per fini più determinanti, più alti, per quei fini veramente rivoluzionari per cui noi siamo pronti sempre a dare la nostra azione e la nostra vita”.
La notte del 25-26 febbraio sembra non passare mai. La città resta attonita e la confusione regna sovrana. Prampolini, immediatamente informato via telegramma, con gli on.li Ruini, Berenini e Turati rivolge un’interpellanza al presidente Salandra. Chiedono cosa intenda fare il Governo, oltre ad aprire una doverosa indagine,.per scoprire e punire i responsabili.Il Governo da parte sua assicura che sarà immediatamente avviata una scrupolosaindagine condotta dall’Ispettore generale di P.S. Tringalli e che i responsabili, chiunque essi siano, saranno puniti.
La mattina del giorno seguente una gran folla, affranta e preoccupata per ciò che è accaduto e potrà accadere in futuro ai loro figli e all’intero Paese, si raduna in piazza Vittorio Emanuele per ascoltare le parole del Sindaco Roversi e di Zibordi. Dal balcone del palazzo municipale viene assicurato che Prampolini è partito da Roma e giungerà a Reggio in serata.
Tutti i negozi, come tutte le attività si sono fermate in segno di protesta e di lutto. Il volto della città è spettrale.
Arturo Bellelli dà appuntamento a tutte le organizzazioni sindacali ed economiche per le ore 14,30 presso la Camera del Lavoro. L’incontro prosegue per tutto il pomeriggio. Particolarmente significativo dal punto di vista umano e politico sono il cordoglio espresso da un rappresentante modenese e l’attiva partecipazione alla discussione del responsabile cittadino dell’USI (Unione sindacale italiana) Torquato Gobbi, l’esponente anarchico che convincerà il giovane Berneri a dimettersi dalla FIGS.
Bellelli annuncia che i funerali dei caduti si svolgeranno a spese dell’amministrazione comunale e che sarà immediatamente aperta una sottoscrizione per aiutare economicamente le famiglie che negli scontri hanno avuto morti e feriti. Sarà inoltre formato un consiglio di difesa legale a disposizione dei congiunti delle vittime. Infine, in segno di dolore e per consentire la massima partecipare ai funerali, viene proclamato all’unanimità lo sciopero generale, che si protrarrà fino al termine delle esequie.
Il giorno 27 febbraio si tiene come annunciato una imponente manifestazione in Piazza Grande nel corso della quale parlano il sindaco Roversi, Zibordi, Bellelli, l’esponente dell’USI Nencini e Prampolini. Il discorso del leader socialista è quanto mai franco e diretto. Nelle sue parole risuonano i concetti di sempre: tolleranza, pace e libertà. Prampolini non esita a condannare ogni forma di violenza, da qualunque parte essa provenga. La tragedia vissuta non deve più ripetersi, anche perché a rimetterci sarebbe solo il popolo. Per questo invita tutti ad astenersi da forme di protesta violente e potenzialmente generatrici di altri lutti.“ La calma -a suo dire- significa ragionevolezza e non può essere intesa come atto di viltà…Amiamo la libertà e sia libertà per tutti. Amiamo la vita e quindi non provochiamo ed allontaniamo quanto possa offendere o distruggere l’esistenza umana”. La contrarietà alla guerra, pertanto, deve essere espressa alta e forte utilizzando però tutti gli strumenti di protesta legali.
La Giustizia del 28 febbraio dà un resoconto dettagliato di tutti i discorsi pronunciati e pubblica anche il testo del manifesto del PSI provinciale, della CdL e della Federazione giovanile, che compare su tutti i muri della città. Inutile dire che nei giorni seguenti giungono da tutta Italia centinaia di telegrammi di cordoglio e solidarietà, puntualmente riportati da La Giustizia, e indirizzati alle famiglie colpite, al Partito, al Comune, agli organismi di massa, a tutti i reggiani. Uno dei più politicamente rilevanti, perché non scontato, giunge da Bologna ed è firmato a nome dell’USI da Armando Borghi, una delle grandi figure libertarie italiane. Il Prefetto Rossi, nell’intento d’evitare altri scontri e altre violenze, vieta ogni tipo di manifestazione, tranne ovviamente la celebrazione dei funerali.
Poi giunge il momento dell’ultimo saluto. Da tutta la Provincia convengono a Reggio le rappresentanze dei comuni, gli operai delle leghe delle cooperative, dei circoli, tutti con le loro bandiere abbrunate. Le salme vengono caricate su un unico carro di prima classe, circondato da alcune corone offerte dalla Federazione socialista e dalla Camera del Lavoro. Reggono i cordoni del carro a destra il sindaco Roversi, Zibordi, Saccani, e Cesare Baracchi per il circolo di San Maurizio. A sinistra c’è invece Prampolini, Bellelli, Bonaccioli e Giacomo Simonazzi per il circolo di San Maurizio. Seguono poi i parenti e una lunga fila di bandiere delle organizzazioni economiche e di Mutuo Soccorso. Il corteo percorre tra due fila enormi di popolo, c’è chi dice siano oltre ventimila persone, via dell’Ospedale, via Edmondo De Amicis, via Emilia San Pietro, via Carducci, via Farini, Strada Maestra Porta Castello. Il corteo si ferma nel vasto piazzale delle Case popolari di Porta Castello. Da una finestra di casa Monti il sindaco Roversi prende per primo la parola e manifesta il suo dolore e quello di tutta la città per le vittime e i feriti.
Il sindaco non intende solamente avere parole di cordoglio, ma indicare ancora una volta la strada da seguire e esprime una considerazione morale: “Il dolore, per gli uomini come per le folle, costituisce e rappresenta una grande forza: una forza che può esplicarsi in due sensi. Può venirne il vago odio, la sete di vendetta, che spinge a ribattere la violenza con la violenza, la ferocia con la ferocia, il sangue con il sangue. E può venirne un amore più alto, che non è la rassegnazione supina, il perdono imbelle, ma è la coscienza che la violenza del mondo attuale si vince solo con una forza nuova, che le colpe si puniscono con una vendetta nuova, diversa dal comune. Può venirne l’insegnamento della civiltà che innalza della energia che non distrugge ma crea!”.
Il triste corteo poi raggiunge il cimitero cittadino per procedere alla sepoltura dei due giovani. Il corteo con tutte le sue bandiere si arresta all’ingresso. Solo una ristretta cerchia di familiari assiste alla sepoltura. I ringraziamenti delle famiglie sono affidate a La Giustizia del 2 marzo. Il corso degli eventi avrà purtroppo una accelerazione imprevista e il 24 maggio, tre mesi dopo i fatti ricordati, l’Italia si troverài in guerra a fianco dei paesi dell’Intesa. Quei giovani che erano scesi in piazza la sera del 25 febbraio contro la conferenza di Battisti e per la pace, si ritroveranno in trincea e molti di loro non torneranno più. Degli oltre seicentomila vittime italiane del conflitto mondiale, Baricchi e Angioletti probabilmente sono stati tra i primi, se non i primi, a cadere. Oggi le loro salme sono conservate nell’ossario comune presso il cimitero Monumentale di Reggio Emilia. Anche delle indagini degli ispettori inviati dal Governo non si interessò più nessuno. La priorità era diventata una sola: sopravvivere alla guerra e alla miseria. Solo cento anni dopo l’Amministrazione comunale ha sentito il dovere di deporre una targa davanti all’ingresso del Teatro. La tragica fine di Cesare Battisti, avvenuta per impiccagione nel castello del Buonconsiglio di Trento il 12 luglio 1916, è largamente nota, anche nei minimi particolari e da allora l’irredentista trentino è considerato un eroe nazionale.
Fabrizio Montanari