di Gennaro de Blasio
Nel marzo del 1978 Carmine Pecorelli detto Mino, giornalista ed editore trasforma la sua agenzia di stampa Osservatore Politico in un settimanale, proprio a ridosso del rapimento del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro avvenuto in via Fani. Durante i 55 giorni di prigionia, Mino Pecorelli farà del caso Moro la sua ossessione, conducendo una battaglia sulle pagine di OP a favore della linea della trattativa, rappresentata politicamente allora solo dal Partito Socialista di Craxi.
Il 18 aprile del 1978 compare in edicola la rivista di OP con la copertina raffigurante un Moro crocifisso con Cossiga (ministro dell’Interno) e Zaccagnini (segretario della Democrazia Cristiana) intenti a giocarsi a dadi la tunica del moribondo, vi è impressa la frase : “Il mio sangue ricada sulle teste di Cossiga e Zaccagnini”, riprendendo la frase di una lettera non ancora resa pubblica che il presidente Moro aveva scritto alla moglie Eleonora.
Dalla prigione di via Montalcini, infatti, il 7 aprile Aldo Moro scrive alla moglie parole avvelenate verso gli uomini del suo partito che arroccati nella cosiddetta linea della fermezza erano disposti a sacrificare il loro padre politico pur di evitare una crisi di governo che in quel momento non sarebbero riusciti a superare.
“Mi pare che siano rimasti taciti i gruppi parlamentari, ed in essi i migliori amici, forse intimiditi dal timore di rompere un fronte di autorità e di rigore. Ed invece bisogna avere il coraggio di rompere questa unanimità fittizia, come tante volte è accaduto”. E ancora : ” Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro”.
La lettera in questione fu sequestrata dalla polizia la sera dell’ 8 aprile e solo successivamente recapitata alla signora Moro ma non fu mai divulgata se non nell’ ottobre del 1990 quando in via Montenevoso a Milano furono trovati in maniera del tutto fortuita alcuni incartamenti del memoriale e lettere di Moro.
Come faceva Mino Pecorelli a conoscerne il contenuto? Tanto da riportarne alcuni passi?
Col tempo possiamo dire che la fama non proprio cristallina del Pecorelli, tanto da essere spesso definito come un ricattatore, ha fatto posto alla figura di un giornalista serio e competente, con uno spiccato senso civico, un professionista dell’ inchiesta alla ricerca costante di notizie.
E’ la stessa sentenza di primo grado del processo celebrato a Perugia per l’individuazione dei mandanti del suo omicidio a ristabilire le carte in tavola: Mino Pecorelli non è stato un ricattatore, ma una spina nel fianco all’ interno del Palazzo.
Mino Pecorelli fu un giornalista investigativo, moderno e vale la pena sottolinearlo: morto povero, che aveva alla sua radice il senso dello Stato.
Un giornalista leale Pecorelli, al contrario di molti suoi colleghi che si impegnarono a screditarlo e a delegittimarlo.
Basti pensare al fatto che per anni la sola immagine di Pecorelli apparsa sui media è stata una foto di un raro momento di relax con la mamma “rubata” alla sorella Rosita e data in pasto alla stampa per oltre 40 anni, con l’evidente intento di presentarlo malamente al pubblico.
Ma proviamo a rispondere alla domanda: Come faceva Pecorelli a conoscere il contenuto di una lettera segreta di Aldo Moro?
Tra le fonti del giornalista troviamo nomi di apparti di potere quali: il generale Vito Miceli, i politici Franco Evangelisti, Bisaglia, Piccoli, Colombo, il super poliziotto Federico Umberto D’amato, i magistrati Alibrandi e Vitalone, gli imprenditori/faccendieri Walter Bonino, Flavio Carboni e Antonio Varisco e persino i generali dei Carabinieri Romolo e Carlo Alberto Dalla Chiesa.
E’ molto difficile trovare anche al tempo d’oggi un solo giornalista in contatto con cosi tanti nomi appartenenti a mondi e realtà così diverse tra loro.
Ed è proprio questa la forza di un giornalista d’inchiesta quale era Mino Pecorelli, la cura delle fonti; avere a disposizione una multitudine di rapporti che consentono di valutare e verificare la notizia e allo stesso tempo proteggere i propri contatti.
Egli stesso scrive il 17 dicembre del 1976: “Notizie, si sa, a un certo livello non esistono. Esistono invece fughe di notizie. Cioè quelle soffiate, quelle indiscrezioni con cui ciascun centro di potere in questa repubblica pluralistica cerca di condizionare, ammonire, minacciare, altri centri di potere”.
Il tempo ha riabilitato Pecorelli, merito anche di alcune trasmissioni televisive come quella di “Telefono Giallo” di Augias nel 1988 e più recentemente “Atlantide” di Andrea Purgatori ed è questo quello che ci interessa in questa sede: la figura di giornalista di un professionista della notizia. Tratteremo poi della sua morte in un altro capitolo, sottolineando anche un aspetto poco studiato dell’ intera vicenda. Il 18 aprile 1978 è anche la data in cui viene reso pubblico il falso comunicato n.7 delle Brigate Rosse che si scoprirà poi essere stato confezionato dal falsario Tony Chichiarelli e che quest’ ultimo venne avvistato nel pomeriggio del 20 marzo del 1979 in via Tacito a Roma dove poche ore più tardi nella sua Citroen 2000 CX verde quattro colpi di pistola alla testa porranno fine alla vita del giornalista.
1 commento
La memoria di quei giorni dimostra quanto depistaggio ci fu, anche oggi è così. Poi ci domandiamo perché non si crede più a niente. Verità, c’è bisogno di verità per riacquistare la Fiducia. Grazie mille.