di Mattia Carramusa
17 maggio, giornata internazionale contro l’omobitransfobia. In ricordo di quel 17 maggio 1990 in cui la comunità scientifica e l’OMS, scusandosi dinnanzi alla storia e all’umanità, rimossero l’omosessualità dalla classificazione internazionale delle malattie (ICD) e dal manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM(. Per la transessualità abbiamo dovuto aspettare fino al giugno 2018.
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17 maggio: la giornata internazionale contro l’omobitransfobia
Questa giornata è celebrata in 130 paesi. È la giornata che di fatto introduce ogni anno il “pride month”, che ormai è una vera e propria onda.
Nasce dalla necessità di riflettere sulla condizione delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali o, per semplicità, delle persone queer (non etero-cis). Soprattutto su quello che queste persone subiscono quotidianamente nella società, direttamente e indirettamente, in maniera esplicita o velata e implicita.
La consapevolezza del fatto che esiste un enorme tessuto sociale, una enorme comunità, trasversale tra minoranze per numeri e minoranze per oppressione, è necessaria se si ambisce a un cambio dell’atteggiamento sociale.
L’omofobia c’è, espressa o interiorizzata. E viene fuori spesso nelle polemiche contro restyling filmografici e il famigerato “politically correct” (che, in Italia, non è mai realmente esistito).
Così se in una serie TV o in un film due uomini o due donne si baciano o un personaggio vive la maturazione di un aspetto importante come la sua identità scollata dai paradigmi sessualizzanti, apriti cielo!
E quando sono le trasmissioni a portare persone LGBTQ+, sono operazioni mediatiche che, a volte, svolgono funzioni di sensibilizzazione sociale (come lo scomparso trono gay di Uomini e Donne).
In quei casi, “Ci vogliono tutti finocchi!” o “Ci sono dietro le lobby gay” sono tra i commenti che troppo spesso ci troviamo, sui social, nei gruppi di amici, nelle famiglie, persino nei partiti.
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17 maggio: L’Italia non è un paese per persone LGBTQ+
Sono all’ordine del giorno atti violenti e oppressivi nei confronti di troppi. Le persone queer vivono una minaccia alla propria esistenza per il solo vivere accettandosi. Basta fare un giro sui giornali per avere ribrezzo.
Trans uccisa a Torino con colpi di pistola. 21enne presa a calci e pugni: “Non si capisce se sei maschio o femmina”. Milano, chiama la polizia per denunciare due ragazzi che si baciano per strada. “Lesbica di m***a”: volontarie aggredite durante i test per l’HIV. Lo zio, il cugino e il papà pestano per strada il figlio omosessuale: “Sei la vergogna della famiglia”. Buttata fuori casa perché lesbica, la madre: “Se torni a casa ti ammazziamo”. Aggressione omofoba in centro a Torino: “Insultati e picchiati nell’indifferenza della gente”.
Questi sono solo alcuni dei titoli usciti nell’ultimo anno. L’osservatorio internazionale Ilga Europe ha collocato l’Italia al 39mo posto su 49 paesi aderenti per libertà e tutela delle persone LGBTQ+. Fanalino di coda dell’Europa occidentale.
Nel report aprile 2022 – marzo 2023 in Italia anno sono state 115 le condotte omobitransfobiche penalmente rilevanti, 165 le vittime di omofobia. In media una ogni due giorni. Nel report pubblicato oggi, le aggressioni salgono a 133, e si contano anche 3 omicidi e 3 suicidi per omofobia accertata.
A questi dati va aggiunto il sommerso, come denunciano le associazioni di categoria: gli atti denunciati alle autorità rappresentano meno della metà dei fatti totali. Molte denunce non vengono sporte a causa della “pubblica vergogna” a cui gli aggrediti denuncianti andrebbero incontro.
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17 maggio: lotte e diritti
All’Italia serve una legge che tuteli contro l’omobitransfobia. Come il ddl Scalfarotto sugli articoli 604 bis e ter del codice penale. Semplice e efficace. Niente definizioni e applicazione ai casi concreti storici sulla base delle mutazioni storico-sociali.
Per questo va rilanciata, malgrado risatine imbecilli alle spalle, la necessità di un socialismo arcobaleno. È necessario dare una risposta politica seria e priva di petalosa retorica a problemi politici esistenti. Non unici ma incombenti. La facile retorica la si lasci ad altri dirigenti e altre forze politiche.
Anche se la comunità queer non è più considerata ufficialmente una comunità di malati dal 17 maggio 1990, l’omobitransfobia è più viva che mai. Soprattutto in Italia.
Le fratture tra i movimenti di liberazione, soprattutto in Italia, aiutano la proliferazione di questa, vera, malattia sociale: l’omobitransfobia. Sono fratture che agevolano l’incomprensione tra istanze e che permettono, così, l’instaurarsi di regimi, politici e sociali, che precludono diritti e libertà per tutta la comunità.