Di Fabrizio Montanari
L’ Avanti! in occasione del I° maggio 1917 con il disegno di B. Mantelli espresse la speranza che fosse possibile fermare l’ecatombe. Il proletariato raffigurato allegoricamente con un nudo maschile accovacciato su un globo terrestre, riesce a spezzare la falce simbolo della morte.
In realtà in quell’anno l’Italia profuse il massimo sforzo bellico, raggiungendo una produzione d’armamenti mai prima sfiorato. L’insufficiente coordinamento tra i suoi comandanti e una incerta strategia di guerra però non portarono a grandi risultati, anzi l’anno si concluse con la ritirata sanguinosa di Caporetto e la sostituzione del generale Luigi Cadorna con il generale Armando Diaz.
Il 1917 fu un anno cruciale per gli sviluppi della guerra per tre motivi: l’entrata in guerra degli Stati Uniti, l’inizio delle trattative per l’uscita dalla stessa della Russia e la disfatta di Caporetto sul fronte italiano. L’avvenimento che impressionò di più il popolo fu senza ombra di dubbio la destituzione dello zar e la nascita in Russia di un governo democratico. Su quella rivoluzione democratica, sul suo significato, sui suoi possibili sviluppi, su quanto avrebbe potuto significare anche per il proletariato italiano si discusse a lungo e fu l’argomento principale di tutti i discorsi del Primo Maggio.
Il secondo I° Maggio di guerra italiano del 1917 si distinse da quello precedente per le maggiori concessioni governative. Furono infatti ammesse riunioni, seppur in forma privata, e la diffusione di manifesti e volantini. Diverse furono le iniziative promosse dai socialisti nel reggiano. A Poviglio, dove era previsto un discorso di Nico Gasparini, i compagni riuscirono a fatica a trovare una sala sufficientemente ampia per contenere tutti i convenuti.
A Guastalla parlò invece Adelmo Sichel davanti a un pubblico prevalentemente femminile. Altri comizi si svolsero con successo a Bagnolo e a Campegine. A Reggio parlò l’on. Giuseppe Soglia, che invitò i presenti a guardare con fiducia alla rivoluzione russa, preludio di una nuova era di pace, a patto però di diffidare dalle facili suggestioni insurrezionali: “Non possiamo avere fede nei movimenti convulsi, nati solo da esasperazioni cieche, di gente che non conosciamo e che non ci conosce… Solo la crescita ordinata dell’organizzazione proletaria potrà avere risultati positivi”.
Accanto ai comizi ufficiali non mancarono anche tutta una serie di iniziative volte a rincuorare i compagni al fronte e a tenere unita l’organizzazione proletaria. La Giustizia inviò gli auguri ai proletari al fronte e si assunse il compito di salvaguardare la solidarietà tra le famiglie proletarie reggiane e tenere in vita il tessuto economico e politico costruito con tanti sacrifici prima della guerra.
Più determinati si dimostrarono invece alcuni reggiani già emigrati a Milano: Bruno Fortichiari (poi comunista), Amilcare Storchi (futuro deputato socialista) e l’anarchico Torquato Gobbi (emigrato e morto in Uruguay). I primi due furono arrestati alla fine del 1917 perché accusati d’aver favorito alcune diserzioni, Gobbi invece fu condannato a dieci anni di carcere, poi amnistiato, per aver stilato e diffuso volantini contro la guerra.
La Giustizia difese tenacemente i primi due suoi militanti ed espresse ampia stima e solidarietà per l’anarchico reggiano.
Tutti i manifesti socialisti, sia quelli stampati in occasione del Primo Maggio, sia quelli successivi, furono ispirati dalla rivoluzione russa di febbraio, che sembrò prospettare rivolgimenti democratici e una rapida fine della guerra. Su tutti i manifesti socialisti si riscontrarono inoltre pesanti tagli della censura, specie dopo le cruenti e sanguinose battaglie dell’Isonzo e del Grappa, ma soprattutto la sconfitta di Caporetto.
Una delle cause del disastro militare fu individuata nella politica del PSI, che fu accusato di antipatriottismo, o peggio di complicità con il nemico.
Toccherà ancora una volta a Prampolini e a Turati difendere l’onore dei socialisti e riportare la verità in Parlamento e nel paese.